RIVISTA DELLA STAMPA
La "moderna teoria" tedesca, o piuttosto hitleriana, delle
"razze" o schiatte umane, che va sotto il nome di razzismo, quasi Vangelo nuovo
del socialismo nazionalista per l'apoteosi della "grande Germania" , è
recisamente e manifestamente ripugnante alla dottrina cattolica, anzi ai
principi fondamentali del cristianesimo. I quali suppongono originaria e la
unità e la fratellanza della schiatta umana, di cui "uno solo è il Signore ed il
Padre", Iddio: onde le nazioni tutte vanno fra loro congiunte, secondo la nota
frase di S. Agostino, non societate solum, sed quadam fraternitate
.
Ma non meno che alla fede essa è ripugnante alla ragione; è contraria
quindi alla sana filosofia umana e ai dati pure accertati delle altre scienze,
della etnologia in particolare e della storia, non meno che alle conclusioni
della teologia cristiana. Non è meraviglia quindi se la vediamo risolutamente
confutata, anche sotto il semplice rispetto delle considerazioni raziona]i,
filosofiche, scientifiche o storiche da uomini di buon senso, ignari o anche
alieni dalla nostra fede e da]le dottrine cristiane.
L'opera loro anzi può
apparire ben opportuna, comunque difettosa, in quanto è una conferma inattesa
della verità, o tesi cattolica, venuta da un campo non sospetto di parzialità, e
come tale più efficace praticamente sopra l'animo di molti dei traviati seguaci
della nuova teoria, i quali ignorano o avversano a priori le dottrine
cattoliche, come i nazisti tedeschi.
Per tale motivo, se altro non fosse, le
confutazioni dell'errore che ci vengono da profani o da avversari della nostra
fede e della nostra filosofia, possono, e debbono anzi, richiamare la nostra
attenzione, anche se non sono da noi pienamente accettate, né accettevoli sotto
ogni rispetto. Perché è da avvertire - come cosa di somma importanza, perché il
bene verace sorge ex integra causa - essere quasi inevitabile, che chi sta fuori
della verità cattolica e più ancora se digiuno di ogni filosofia cristiana - la
quale è pure quella perenne filosofia che è il retaggio della retta ragione
umana - frammischi alla parte di verità che difende, qualche errore, o anche una
serie di errori, che la viziano e che rendono quindi meno efficace, e talora
nulla per sé, o affatto vacillante, la tentata confutazione.
Tanto dobbiamo dire dell'opera che già abbiamo annunziato in un
precedente quaderno come lodevole in parte ma non del tutto accettevole,
dell'acattolico scrittore Rodolfo Laemmel, su le "razze umane" e si presenta
fino dal titolo come "introduzione popolare scientifica su le questioni
fondamentali della moderna teoria delle razze"(1). Essa è certo ispirata da
buone intenzioni allo scrittore, di origine tedesca ma avverso giustamente al
razzismo, come sistema di dottrina teorica e pratica. Esso infatti non segna un
progresso, bensì uno scadimento profondo, e col tempo una totale perversione e
un nuovo imbarbarimento del popolo tedesco, non inferiore a quello del popolo
vicino della Russia sotto la tirannide del comunismo internazionale, essendo il
nazismo, o socialismo nazionalista, del pari apostata dal cristianesimo e dalla
sua civiltà.
Lo scadimento, anzi il precipizio intellettuale e morale, prima
ancora che religioso, è iniziato dall'orgoglio futile e puerile, come una
infatuazione o follia collettiva, onde si vuole esaltare la stirpe o "razza"
germanica al disopra di tutte le altre, come la più perfetta, la più pura,
ideale, anzi addirittura divinizzata, per quanto si può parlare di divino in un
sistema tutto fondato nella "terra e nel sangue", nella materia cioè e non nello
spirito; laddove tutte le altre stirpi del genere umano sarebbero ad essa
inferiori, comprese le mediterranee, e più o meno spregevoli, tutte da posporsi
o asservirsi alla grande Germania , ovvero anche da sterminarsi, come l'ebraica.
Contro tale ingiusta pretensione giustamente riafferma il Laemmel la unità
essenziale delle razze umane, onde "l'una non è essenzialmente più perfetta
delle altre": e nessuna può vantarsi, ad esclusione delle altre, "una razza
eletta"; né tutte le migliori variazioni che si riscontrino, sono altro che
accidentali modificazioni di una medesima natura ed essenza specifica,
cagionate, dalle particolari condizioni dei luoghi, dei tempi, degli agenti
atmosferici e di altri fenomeni o difficoltà della vita. Come perciò nessun
popolo può avere con diritto la persuasione di essere un popolo originariamente
eletto, preferito o preferibile su tutti gli altri, così afferma l'Autore, e lo
dimostra con particolari considerazioni su le doti del suo popolo e sui dati
fornitigli dai nazisti medesimi, che non può illudersi il popolo germanico di
essere né meglio né peggio degli altri .
Egli non dissimula tuttavia, né
attenua le doti vere o supposte dei suoi tedeschi, e dei popoli nordici in
genere; cita anzi lungamente il famoso Guenther, che l'esalta fanaticamente. Ma
fa pure giustamente osservare quanto sia pericoloso, a rispetto delle altre
nazioni, prendere alla leggera cotali affermazioni di superiorità assoluta della
razza. Se esse infatti fossero vere, non resterebbe che sottomettere agli uomini
del Nord tutte le altre nazioni, come inferiori, cominciando da quelle
mediterranee, e distruggere addirittura quelle più indomabili, o in nessun modo
assimilabili, come già fu detto, ad esempio, della schiatta giudaica, se non si
vogliano tenere gli ebrei, come i miseri paria dell'India, in una totale
segregazione per il vantaggio comune del genere umano.
Ma, con le doti buone
e le qualità individuali e sociali più pregevoli, l'Autore riconosce nel popolo
nordico, non meno che in qualsiasi altro, vizi, difetti o qualità inferiori,
anche di quelle supposte proprie dei latini o perfino degli ebrei. Ora noi
crediamo che il Laemmel avrebbe dovuto far meglio ancora risaltare, in tutta
questa questione, il fatto innegabile, che la storia ci conferma, come ogni
popolo ha proprie doti o virtù determinate in cui va segnalato, come ha pure i
suoi vizi o difetti che sono talora l'esagerazione o la simulazione delle virtù
menzionate. A questo modo già notava S. Agostino dei popoli pagani di Roma e di
Atene, che i loro vizi avevano spesso l'apparenza di virtù, mentre le virtù
stesse confinavano coi vizi: vitia quaedam proximiora virtutibus .
Senonché queste doti e queste virtù naturali sarebbero pure di grande utilità
per il genere umano se - come è nel disegno della Provvidenza divina, che anche
la gran mente del Bossuet divinava nella storia universale dei popoli -
venissero messe a servizio del bene comune e corrette nelle loro deficienze, o
compiute con le virtù e le doti di altri popoli; mentre riescono di grave
detrimento allo stesso pubblico bene, se vengono esaltate in modo esclusivo, e
quindi deformate, facendole uscire da quei confini dell'equilibrio cioè o giusto
mezzo della retta ragione: quei certi denique fines, quos ultra citraque
nequit consistere rectum .
Non seguiremo l'Autore nello svolgimento del suo assunto che
non procede con metodo e meno ancora con lucidus ordo, e neppure in tante sue
particolari applicazioni od esemplificazioni, tanto più che esse non ci sembrano
sempre dimostrative, anzi ci darebbero troppo spesso materia di critiche o di
riserve. Ma conveniamo con lui che la cavalleria, ad esempio, non è propria dei
nordici; anche se non è sorta proprio in Francia, com'egli dice, massime quale
istituzione: certo si trova non meno, e più ancora forse che tra i nordici, fra
gli spagnoli, e perfino tra gli indigeni dell'America, da essi inciviliti; e noi
possiamo aggiungere molto meglio ancora, tra gli italiani, che, nell'età di
mezzo in particolare, ce ne diedero esempi gloriosi, e glorificati appunto da
nostri insigni poeti, come l'Ariosto, il Tasso ed altri. Lo stesso dicasi, e con
molto più ragione, dell'amor patrio, che è ben cosa insipiente spacciare come
una proprietà esclusiva dei tedeschi; tanto è questa una virtù naturale che
tutti i popoli, anche pagani, hanno professato sino a proclamare con la voce dei
loro prosatori e poeti la bellezza e la gloria della morte medesima, affrontata
per la patria, come cantava Tirteo tra i greci e Orazio tra i romani,
traducendone la famosa sentenza: dulce et decorum est pro patria mori .
Ma l'amor patrio è, meglio ancora, una virtù cristiana; il che l'Autore mostra
di ignorare; virtù morale che appartiene alla giustizia, e propriamente alla
pietas , la quale vuol rendere il merito agli autori del nostro essere,
che sono, in diverso ordine, Dio, i parenti e la patria, come fu dimostrato più
volte su queste pagine e contro le esorbitanze di un male inteso nazionalismo (
2) .
Più ingiusto, falso e risibile, è il pretendere che sia proprio dei
popoli tedeschi il senso del diritto e della giustizia; tanto più che questo
essi attinsero dall'antica civiltà Romana, perfezionata poi dal cristianesimo e
divenuta quindi maestra di diritto e vindice della giustizia a tutta la società
umana. Su ciò non insiste bene il Laemmel; ma si contenta di argomentare, quasi
ad hominem , e non senza una giusta ironia, come debba essere pericoloso
l'esaltare il senso di giustizia e di diritto del governo e popolo tedesco,
proprio ai nostri giorni e mentre da esso si trattano con sì aperta ingiustizia,
anzi violenza brutale, milioni e milioni di suoi cittadini, né solamente
socialisti e giudei, come deplora l'Autore, che si potrebbero supporre nemici
del presente ordine di cose, ma anche cristiani e cattolici, uomini di ordine e
niente affatto pericolosi all'autorità ed al governo costituito.
A ragione
pure irride l'Autore l'altro vanto dei suoi connazionali, di essere un popolo
portato a vivere secondo il suo personale giudizio, a proprio arbitrio cioè,
insofferente di vincoli o di leggi, con quella libertà promulgata quasi norma di
vita, dalla ribellione protestantica del monaco apostata di Wittemberga, e
spacciata come la nuova "libertà evangelica" . Ma anche qui egli non incalza
l'argomento, come dovrebbe; ché non può un protestante vedere bene come di
quella libertà abbiano goduto quei popoli e tuttora godano gli amari frutti,
essendo stati, per ironia delle cose, travolti prima sotto la tirannide dei
principi che si arrogarono anche il potere religioso ad oppressione dei sudditi,
qualunque fosse la fede o persuasione di questi, proclamando il motto dispotico:
cuius regio, eius religio . Ora il succo o lo spirito del motto tirannico
dei governi assolutisti dei secoli XVI e XVII risuona ancora, in sostanza, nelle
rivendicazioni contemporanee e pseudo patriottiche o nazionalistiche della
grande Germania, immedesimata nel suo dittatore presente o nel ristretto seguito
dei suoi reggitori o ministri, più dispotici o assolutisti del loro
padrone.
Con una punta di ironia più amara, ma con pari ragione il Laemmel
dimostra poi che non può essere vantata dal tedesco quasi virtù sua propria la
fedeltà o lealtà; e sarebbe quella specialmente di non coprire il proprio
pensiero e di mantenere la propria parola. Ora dell'assenza di questa egli
addita l'esempio contemporaneo nella mancanza del governo tedesco ad ogni
impegno verso i privati, conforme al capriccio o all'interesse di un capo. E
l'Autore avrebbe potuto aggiungere l'altro ben più solenne esempio, dell'impegno
mancato, anzi del pieno fallimento di qualsiasi lealtà o fedeltà anche
diplomatica di fronte alla stessa società internazionale, nella manifesta e
ripugnante violazione del Concordato stretto con la Santa Sede; di che è ben
nota la forte lagnanza fattane dal Papa in una solenne enciclica. Ma
quell'esempio di mancata lealtà fu ancora peggio aggravato dalla tentata
giustificazione o apologia di quella violazione stessa, con una loro nuova
teoria giuridica, la quale vorrebbe che qualsiasi obbligazione di fedeltà alla
parola data o all'impegno preso resti condizionata sempre alla utilità propria,
cioè all'interesse, sia pure palliato con la ragione di Stato. Altro che
l'esempio soggiunto qui dal Laemmel con intento polemico ! quello della mancanza
tedesca di lealtà verso gli ebrei, che hanno combattuto nell'ultima guerra,
anche essi, per la grande Germania, e possono ancora vantare, secondo lui, non
poche altre benemerenze!
Questo della difesa degli ebrei è un argomento che sta molto a
cuore al Laemmel. il quale se non è un ebreo convertito al protestantesimo, è
facilmente un discendente da ebrei, forse da quel banchiere Laemmel, fattosi di
giudeo protestante, di cui egli ci parla in questo suo libro (p. 221). E non
saremmo noi a dargli qui torto, finché questa difesa si contiene nei limiti
della giustizia e della carità cristiana, di cui abbiamo anche ultimamente
parlato su queste pagine a proposito della vessata questione giudaica .
Ammettiamo specialmente la falsità che egli afferma della teoria che gli ebrei
siano essenzialmente diversi e inferiori agli altri popoli, massime ai nordici o
tedeschi. Discutibile invece è l'altra affermazione, sebbene non inverosimile,
che moltissimi tedeschi, addirittura 20 milioni, abbiano in sé sangue giudaico,
per le fusioni continue, dovute specialmente alle conversioni: le quali l'Autore
stesso giustifica con la facile osservazione che il cristianesimo sia uno
svolgimento del giudaismo; sicché gli ebrei possano con piena persuasione di
continuità passare dal loro giudaismo al cristianesimo. Diciamo discutibile
l'affermazione dei 20 milioni di ebrei tedeschi, siccome bisognosa di migliori
riscontri storici, essendo questione di fatto, da non affermarsi a priori
o per tenue congettura, come sembra fare l'Autore e come altri hanno fatto.
Alcuni, anzi, hanno trovato una discendenza giudaica perfino in un Rosenberg, in
un Goebbels e in altri tra i più rumorosi persecutori tedeschi del giudaismo:
perché riesce loro sospetto, come già fu nei primi bolscevichi russi, i loro
zelo eccessivo contro gli ebrei, e non a torto. Ma non v'insistiamo! giusta del
resto l'affermazione del Laemmel, che con tutto il loro zelo o furore anti
giudaico, riuscirà impossibile ai razzisti il distruggere gli ebrei e quei tanti
che degli ebrei hanno qualche oncia di sangue: non vi sarebbero carnefici
bastevoli per ucciderli tutti. Ma qual uomo civile, nonché cristiano, può
auspicare e promuovere una consimile soluzione del complesso problema? Esagera
tuttavia l'autore, troppo immemore delle continuate persecuzioni degli ebrei
contro i cristiani, in particolare contro la Chiesa Cattolica, e della alleanza
loro coi massoni, coi socialisti e con altri partiti anticristiani; esagera
troppo, quando conchiude che sarebbe non solo illogico ed antistorico, ma un
vero tradimento morale se oggidì il cristianesimo non si prendesse cura della
sorte degli ebrei . Né si può dimenticare che gli ebrei medesimi hanno
richiamato in ogni tempo e richiamano tuttora su di sé le giuste avversioni dei
popoli coi loro soprusi troppo frequenti e con l'odio loro verso Cristo
medesimo, la sua religione e la sua Chiesa cattolica, quasi continuando quel
grido dei loro padri che imprecava al sangue del Giusto e del Santo, la speranza
e aspettazione di Israele: sanguis eius super nos et super filios nostros
. Ma contro questo grido si leva sempre la supplice preghiera del popolo
cristiano, di cui si fa guida la voce medesima del Papa, implorante la salvezza
di quel popolo ribelle: perché "discenda sopra di essi quel Sangue medesimo come
lavacro di redenzione e di vita".
A tanto non arriva il nostro difensore
degli ebrei contro i socialisti nazionali; ma pure nel tentativo di dimostrare
la inettitudine dei socialisti a cambiare il mondo, sente giustamente "che
quello che deve cambiare non sono le leggi... sono i cuori degli uomini"; e che
in ciò "errarono i giudei come gli altri; errò l'Einstein (giudeo) come errarono
gli altri capi del popolo, e con ciò mostrarono che vi era tra ebrei e non ebrei
unità, o comunanza, anche nell'errore". E qui ha più che ragione, purtroppo! ma
non va sciolta con ciò la gran questione.
La questione giudaica del resto non entra per sé nella parte
essenziale dell'argomento, come mostrerebbe di supporre l'autore nella troppo
lunga digressione che fa per discuterla: essa ne è al più un semplice
corollario.
Ora il corollario stesso si può bene applicare agli altri popoli,
e con più forza ancora di ragioni che non faccia l'autore, in ciò troppo
superficiale c sommario, come quando l'applica agli Armeni, ai Baltici, ai
Balcani o Dinarici, agli Alpini, agli Etruschi, ai Mediterranei e via dicendo.
Ma non occorre seguitarlo in questa scorribanda etnica, per dimostrare come in
tutti questi popoli si avveri l'unità specifica, nonostante le diversità
molteplici dei così detti caratteri somatici, psichici e morali, che noi diremmo
di indole, di educazione, di cultura, ma che l'autore ama derivare, secondo una
sua "legge pangenetica" alla lamarkiana, dalla "ereditarietà" . Questa e tanto
discutibile, che all'autore stesso non importa neppure di sapere se l'uomo
discenda da uno scimpanzé o da un gorilla ! Per ciò appunto egli ci dimostra con
quale superficialità o leggerezza studi la questione, anche sotto il rispetto
della filosofia materialistica e i suoi capisaldi essenziali, di cui è
seguace.
Il punto capitale, noi diciamo, troppo perduto di vista nelle lunghe
digressioni dallo scrittore tedesco, sta nella dimostrazione della unità
essenziale delle stirpi o "razze" umane che è negata dai razzisti. Ora in questa
dimostrazione per l'appunto si sente il debole della filosofia del nostro
Autore, seguace dell'evoluzionismo, nel senso del Lamark, di evoluzione
progressiva; mentre egli mostra di combattere il Darwin col suo trasformismo,
talora invece sembra propendere ad ammetterlo, come nell'evoluzione
contemporanea ecc. Ed un siffatto evoluzionismo il Laemmel estende anche alla
religione, ai dogmi, alla morale, fino ad oscurare perciò l'origine divina del
cristianesimo, della missione di Cristo e della sua Chiesa, e la immutabilità
della morale stessa. Su questo anzi egli giunge a pretendere che la Chiesa debba
col tempo mutare anche la sua legislazione nei punti più delicati, come in
materia matrimoniale, equiparando egli le questioni dogmatiche e morali a quella
di Galileo, nella quale segue gli idola fori dei pregiudizi popolari ed
anticattolici, come in quella di Giordano Bruno, di Martin Lutero ed in altre
questioni storiche, le più comunemente svisate, fra i protestanti massimamente.
Vero è che, essendo i suoi avversari materialisti del pari, o seguaci dei
consimili errori, proprii dei sistemi contemporanei da lui seguiti, il nostro
autore si trova, come suol dirsi, sul terreno medesimo dell'avversario e dallo
stesso presupposto muove all'assalto. Combatte dunque l'errore con un altro
errore, ed il suo argomentare non può valere che ad hominem , come usano
dire i logici, né ad altro riuscirà che a sloggiare da un errore i lettori per
indurli o confermarli in un altro, non già guidarli alla ricerca schietta ed al
possesso della verità. In altri termini, dal suo ragionamento non segue altro se
non che falsa, o indimostrata almeno, è la teoria del razzismo, anche posti i
principi della filosofia evoluzionistica, materialistica o simili, ammessi dagli
avversari. Ora una tale conclusione può avere la sua forza personale, diciamo
così, presso protestanti, socialisti nazionali, o nazisti infetti di
materialismo come l'autore; ma non ha valore intrinseco di dimostrazione del!a
unità essenziale della specie umana, secondo il concetto della vera filosofia;
giacché ex absurdo sequitur quodlibet.
Non possiamo noi dunque seguire
l'autore né raccomandarne il libro, senza le più gravi riserve; e ciò per i
cattolici specialmente, i quali hanno una ben altra filosofia, ed una ben più
consistente fermezza nella dottrina cattolica della unità, della origine e dei
destini comuni della specie umana. Ma possiamo ben accordarci, e ne lodiamo
l'autore, in una delle sue conclusioni più definitive: doversi le "razze" che si
stimano superiori, non già straniarsi dalle altre, ma adoperarsi in pro delle
inferiori, favorendone il migliore svolgimento possibile ed escludendo ogni odio
di razza, di nazionalità o simile, per sostituirvi la legge dell'amore. E questa
legge, certamente, la carità cristiana vuole inculcata e perfezionata, quale
essenza di tutta la nuova civiltà, più che l'autore protestante non creda: al
che specialmente conferisce, come egli medesimo riconosce, l'opera delle
missioni cristiane. E nel riconoscimento imparziale delle benemerenze sociali
dei nostri missionari il libero pensatore protestante ci pare che abbia superato
se stesso, sollevandosi dall'angusta cerchia del suo materialismo ed
evoluzionismo. E noi ben volentieri gli applaudiamo, come nell'ultima chiusa del
suo volume, con quel caldo augurio che facciamo nostro: che "in tutte le scuole
di Europa sia insegnato il Vangelo dell'amore contro il vangelo dell'odio! Tutti
gli Stati e tutti i popoli, intorno all'afflitta Germania, vogliano unirsi
nell'amore, nell'amore anche verso l'infelice popolo tedesco, ripensando ai suoi
milioni di martiri!". E noi aggiungeremo ancora: ripensando alla ben più
infelice lotta della Germania contro la divinità, più ancora che la romanità,
della Chiesa cattolica, lotta ispirata dall'odio, a cui seguiva quella
tristissima apostasia che è la causa più profonda e più deplorabile del presente
soqquadro civile e religioso.
A quest'ultima causa non possiamo certamente
aspettarci che ripensi il nostro protestante, convertito dall'ebraismo. Ma è
innegabile, ed ormai riconosciuto da tutti gli storici più accreditati, che essa
pure - quell'apostasia del secolo XVI, la quale doveva poi dalla ribellione
appunto e dalla violenza della sua "protesta" contro Roma e l'antica civiltà
cristiana prendere il nome di "protestantesimo" - moveva da una consimile
origine, di morboso nazionalismo: da un senso di smisurato orgoglio, di insana
baldanza e fiducia di sé e della propria "razza", contro la vera fede in Dio e
nella sua Chiesa, ed infine con l'"odio di razza" e la detestazione di quanto
era od appariva latino e romano, designato col nomignolo di "papismo". Era
l'apoteosi paganeggiante della razza germanica, straniatasi allora in gran parte
dal resto dell'Europa cristiana. Quel moto razzista infatti del Sassone
anormale, che fu Lutero, divenuto ereticale ma sostenuto da principi viziosi e
da popoli illusi o traditi, levò a fiamma tutto il Settentrione, cominciando da
quella parte che strappata per ultimo alle superstizioni ed alle barbarie del
suo vecchio paganesimo, dava più facile esca all'incendio. Esso poi con le
susseguenti lotte nazionali rese insanabile la rottura dell'unità religiosa e
sociale dell'Europa civile, di tutta anzi la famiglia dei popoli, compresa nel
nome della "cristianità", più che non avesse fatto lo scisma d'Oriente. Ora
l'ultimo stadio di quell'apostasia è il neopaganesimo del socialismo
nazionalista, ossia "razzismo", emulo dell'ateismo bolscevico, ossia comunismo
internazionale: altro estremo, e frutto esso pure dello scisma religioso
d'insipienti reggitori... Et nunc... erudimini qui iudicatis
terram!
NOTE
(l) Dr. RUDOLF LAEMMEL, Die menschlichen Rassen.
Eine populärwissenschaftliche Einführung in die Grundprobleme der
Rassentheorie, Zürich, 1936. Cfr. Civ. Catt. 1938, II, 407, nota.
(2)
Cfr. Civ. Catt. 1915, I, 129; 420 segg. (Nazionalismo e amor di patria secondo
la dottrina cattolica). Ved. anche l'opuscolo Il vero e il falso
nazionalismo . (Dal rendiconto XI Sessione Settimane Sociali d'Italia Torino
1924). Milano, Soc. ed. Vita e Pensiero.