La Civiltà Cattolica, Roma 2 luglio 1938, a. 89, vol. III, quad. 2113, pp. 62-71
 

RIVISTA DELLA STAMPA

LA "TEORIA MODERNA DELLE RAZZE" :
IMPUGNATA DA UN ACATTOLICO.

I

La "moderna teoria" tedesca, o piuttosto hitleriana, delle "razze" o schiatte umane, che va sotto il nome di razzismo, quasi Vangelo nuovo del socialismo nazionalista per l'apoteosi della "grande Germania" , è recisamente e manifestamente ripugnante alla dottrina cattolica, anzi ai principi fondamentali del cristianesimo. I quali suppongono originaria e la unità e la fratellanza della schiatta umana, di cui "uno solo è il Signore ed il Padre", Iddio: onde le nazioni tutte vanno fra loro congiunte, secondo la nota frase di S. Agostino, non societate solum, sed quadam fraternitate .
Ma non meno che alla fede essa è ripugnante alla ragione; è contraria quindi alla sana filosofia umana e ai dati pure accertati delle altre scienze, della etnologia in particolare e della storia, non meno che alle conclusioni della teologia cristiana. Non è meraviglia quindi se la vediamo risolutamente confutata, anche sotto il semplice rispetto delle considerazioni raziona]i, filosofiche, scientifiche o storiche da uomini di buon senso, ignari o anche alieni dalla nostra fede e da]le dottrine cristiane.
L'opera loro anzi può apparire ben opportuna, comunque difettosa, in quanto è una conferma inattesa della verità, o tesi cattolica, venuta da un campo non sospetto di parzialità, e come tale più efficace praticamente sopra l'animo di molti dei traviati seguaci della nuova teoria, i quali ignorano o avversano a priori le dottrine cattoliche, come i nazisti tedeschi.
Per tale motivo, se altro non fosse, le confutazioni dell'errore che ci vengono da profani o da avversari della nostra fede e della nostra filosofia, possono, e debbono anzi, richiamare la nostra attenzione, anche se non sono da noi pienamente accettate, né accettevoli sotto ogni rispetto. Perché è da avvertire - come cosa di somma importanza, perché il bene verace sorge ex integra causa - essere quasi inevitabile, che chi sta fuori della verità cattolica e più ancora se digiuno di ogni filosofia cristiana - la quale è pure quella perenne filosofia che è il retaggio della retta ragione umana - frammischi alla parte di verità che difende, qualche errore, o anche una serie di errori, che la viziano e che rendono quindi meno efficace, e talora nulla per sé, o affatto vacillante, la tentata confutazione.

II

 

Tanto dobbiamo dire dell'opera che già abbiamo annunziato in un precedente quaderno come lodevole in parte ma non del tutto accettevole, dell'acattolico scrittore Rodolfo Laemmel, su le "razze umane" e si presenta fino dal titolo come "introduzione popolare scientifica su le questioni fondamentali della moderna teoria delle razze"(1). Essa è certo ispirata da buone intenzioni allo scrittore, di origine tedesca ma avverso giustamente al razzismo, come sistema di dottrina teorica e pratica. Esso infatti non segna un progresso, bensì uno scadimento profondo, e col tempo una totale perversione e un nuovo imbarbarimento del popolo tedesco, non inferiore a quello del popolo vicino della Russia sotto la tirannide del comunismo internazionale, essendo il nazismo, o socialismo nazionalista, del pari apostata dal cristianesimo e dalla sua civiltà.
Lo scadimento, anzi il precipizio intellettuale e morale, prima ancora che religioso, è iniziato dall'orgoglio futile e puerile, come una infatuazione o follia collettiva, onde si vuole esaltare la stirpe o "razza" germanica al disopra di tutte le altre, come la più perfetta, la più pura, ideale, anzi addirittura divinizzata, per quanto si può parlare di divino in un sistema tutto fondato nella "terra e nel sangue", nella materia cioè e non nello spirito; laddove tutte le altre stirpi del genere umano sarebbero ad essa inferiori, comprese le mediterranee, e più o meno spregevoli, tutte da posporsi o asservirsi alla grande Germania , ovvero anche da sterminarsi, come l'ebraica. Contro tale ingiusta pretensione giustamente riafferma il Laemmel la unità essenziale delle razze umane, onde "l'una non è essenzialmente più perfetta delle altre": e nessuna può vantarsi, ad esclusione delle altre, "una razza eletta"; né tutte le migliori variazioni che si riscontrino, sono altro che accidentali modificazioni di una medesima natura ed essenza specifica, cagionate, dalle particolari condizioni dei luoghi, dei tempi, degli agenti atmosferici e di altri fenomeni o difficoltà della vita. Come perciò nessun popolo può avere con diritto la persuasione di essere un popolo originariamente eletto, preferito o preferibile su tutti gli altri, così afferma l'Autore, e lo dimostra con particolari considerazioni su le doti del suo popolo e sui dati fornitigli dai nazisti medesimi, che non può illudersi il popolo germanico di essere né meglio né peggio degli altri .
Egli non dissimula tuttavia, né attenua le doti vere o supposte dei suoi tedeschi, e dei popoli nordici in genere; cita anzi lungamente il famoso Guenther, che l'esalta fanaticamente. Ma fa pure giustamente osservare quanto sia pericoloso, a rispetto delle altre nazioni, prendere alla leggera cotali affermazioni di superiorità assoluta della razza. Se esse infatti fossero vere, non resterebbe che sottomettere agli uomini del Nord tutte le altre nazioni, come inferiori, cominciando da quelle mediterranee, e distruggere addirittura quelle più indomabili, o in nessun modo assimilabili, come già fu detto, ad esempio, della schiatta giudaica, se non si vogliano tenere gli ebrei, come i miseri paria dell'India, in una totale segregazione per il vantaggio comune del genere umano.
Ma, con le doti buone e le qualità individuali e sociali più pregevoli, l'Autore riconosce nel popolo nordico, non meno che in qualsiasi altro, vizi, difetti o qualità inferiori, anche di quelle supposte proprie dei latini o perfino degli ebrei. Ora noi crediamo che il Laemmel avrebbe dovuto far meglio ancora risaltare, in tutta questa questione, il fatto innegabile, che la storia ci conferma, come ogni popolo ha proprie doti o virtù determinate in cui va segnalato, come ha pure i suoi vizi o difetti che sono talora l'esagerazione o la simulazione delle virtù menzionate. A questo modo già notava S. Agostino dei popoli pagani di Roma e di Atene, che i loro vizi avevano spesso l'apparenza di virtù, mentre le virtù stesse confinavano coi vizi: vitia quaedam proximiora virtutibus . Senonché queste doti e queste virtù naturali sarebbero pure di grande utilità per il genere umano se - come è nel disegno della Provvidenza divina, che anche la gran mente del Bossuet divinava nella storia universale dei popoli - venissero messe a servizio del bene comune e corrette nelle loro deficienze, o compiute con le virtù e le doti di altri popoli; mentre riescono di grave detrimento allo stesso pubblico bene, se vengono esaltate in modo esclusivo, e quindi deformate, facendole uscire da quei confini dell'equilibrio cioè o giusto mezzo della retta ragione: quei certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum .

III

 

Non seguiremo l'Autore nello svolgimento del suo assunto che non procede con metodo e meno ancora con lucidus ordo, e neppure in tante sue particolari applicazioni od esemplificazioni, tanto più che esse non ci sembrano sempre dimostrative, anzi ci darebbero troppo spesso materia di critiche o di riserve. Ma conveniamo con lui che la cavalleria, ad esempio, non è propria dei nordici; anche se non è sorta proprio in Francia, com'egli dice, massime quale istituzione: certo si trova non meno, e più ancora forse che tra i nordici, fra gli spagnoli, e perfino tra gli indigeni dell'America, da essi inciviliti; e noi possiamo aggiungere molto meglio ancora, tra gli italiani, che, nell'età di mezzo in particolare, ce ne diedero esempi gloriosi, e glorificati appunto da nostri insigni poeti, come l'Ariosto, il Tasso ed altri. Lo stesso dicasi, e con molto più ragione, dell'amor patrio, che è ben cosa insipiente spacciare come una proprietà esclusiva dei tedeschi; tanto è questa una virtù naturale che tutti i popoli, anche pagani, hanno professato sino a proclamare con la voce dei loro prosatori e poeti la bellezza e la gloria della morte medesima, affrontata per la patria, come cantava Tirteo tra i greci e Orazio tra i romani, traducendone la famosa sentenza: dulce et decorum est pro patria mori . Ma l'amor patrio è, meglio ancora, una virtù cristiana; il che l'Autore mostra di ignorare; virtù morale che appartiene alla giustizia, e propriamente alla pietas , la quale vuol rendere il merito agli autori del nostro essere, che sono, in diverso ordine, Dio, i parenti e la patria, come fu dimostrato più volte su queste pagine e contro le esorbitanze di un male inteso nazionalismo ( 2) .
Più ingiusto, falso e risibile, è il pretendere che sia proprio dei popoli tedeschi il senso del diritto e della giustizia; tanto più che questo essi attinsero dall'antica civiltà Romana, perfezionata poi dal cristianesimo e divenuta quindi maestra di diritto e vindice della giustizia a tutta la società umana. Su ciò non insiste bene il Laemmel; ma si contenta di argomentare, quasi ad hominem , e non senza una giusta ironia, come debba essere pericoloso l'esaltare il senso di giustizia e di diritto del governo e popolo tedesco, proprio ai nostri giorni e mentre da esso si trattano con sì aperta ingiustizia, anzi violenza brutale, milioni e milioni di suoi cittadini, né solamente socialisti e giudei, come deplora l'Autore, che si potrebbero supporre nemici del presente ordine di cose, ma anche cristiani e cattolici, uomini di ordine e niente affatto pericolosi all'autorità ed al governo costituito.
A ragione pure irride l'Autore l'altro vanto dei suoi connazionali, di essere un popolo portato a vivere secondo il suo personale giudizio, a proprio arbitrio cioè, insofferente di vincoli o di leggi, con quella libertà promulgata quasi norma di vita, dalla ribellione protestantica del monaco apostata di Wittemberga, e spacciata come la nuova "libertà evangelica" . Ma anche qui egli non incalza l'argomento, come dovrebbe; ché non può un protestante vedere bene come di quella libertà abbiano goduto quei popoli e tuttora godano gli amari frutti, essendo stati, per ironia delle cose, travolti prima sotto la tirannide dei principi che si arrogarono anche il potere religioso ad oppressione dei sudditi, qualunque fosse la fede o persuasione di questi, proclamando il motto dispotico: cuius regio, eius religio . Ora il succo o lo spirito del motto tirannico dei governi assolutisti dei secoli XVI e XVII risuona ancora, in sostanza, nelle rivendicazioni contemporanee e pseudo patriottiche o nazionalistiche della grande Germania, immedesimata nel suo dittatore presente o nel ristretto seguito dei suoi reggitori o ministri, più dispotici o assolutisti del loro padrone.
Con una punta di ironia più amara, ma con pari ragione il Laemmel dimostra poi che non può essere vantata dal tedesco quasi virtù sua propria la fedeltà o lealtà; e sarebbe quella specialmente di non coprire il proprio pensiero e di mantenere la propria parola. Ora dell'assenza di questa egli addita l'esempio contemporaneo nella mancanza del governo tedesco ad ogni impegno verso i privati, conforme al capriccio o all'interesse di un capo. E l'Autore avrebbe potuto aggiungere l'altro ben più solenne esempio, dell'impegno mancato, anzi del pieno fallimento di qualsiasi lealtà o fedeltà anche diplomatica di fronte alla stessa società internazionale, nella manifesta e ripugnante violazione del Concordato stretto con la Santa Sede; di che è ben nota la forte lagnanza fattane dal Papa in una solenne enciclica. Ma quell'esempio di mancata lealtà fu ancora peggio aggravato dalla tentata giustificazione o apologia di quella violazione stessa, con una loro nuova teoria giuridica, la quale vorrebbe che qualsiasi obbligazione di fedeltà alla parola data o all'impegno preso resti condizionata sempre alla utilità propria, cioè all'interesse, sia pure palliato con la ragione di Stato. Altro che l'esempio soggiunto qui dal Laemmel con intento polemico ! quello della mancanza tedesca di lealtà verso gli ebrei, che hanno combattuto nell'ultima guerra, anche essi, per la grande Germania, e possono ancora vantare, secondo lui, non poche altre benemerenze!

IV

 

Questo della difesa degli ebrei è un argomento che sta molto a cuore al Laemmel. il quale se non è un ebreo convertito al protestantesimo, è facilmente un discendente da ebrei, forse da quel banchiere Laemmel, fattosi di giudeo protestante, di cui egli ci parla in questo suo libro (p. 221). E non saremmo noi a dargli qui torto, finché questa difesa si contiene nei limiti della giustizia e della carità cristiana, di cui abbiamo anche ultimamente parlato su queste pagine a proposito della vessata questione giudaica . Ammettiamo specialmente la falsità che egli afferma della teoria che gli ebrei siano essenzialmente diversi e inferiori agli altri popoli, massime ai nordici o tedeschi. Discutibile invece è l'altra affermazione, sebbene non inverosimile, che moltissimi tedeschi, addirittura 20 milioni, abbiano in sé sangue giudaico, per le fusioni continue, dovute specialmente alle conversioni: le quali l'Autore stesso giustifica con la facile osservazione che il cristianesimo sia uno svolgimento del giudaismo; sicché gli ebrei possano con piena persuasione di continuità passare dal loro giudaismo al cristianesimo. Diciamo discutibile l'affermazione dei 20 milioni di ebrei tedeschi, siccome bisognosa di migliori riscontri storici, essendo questione di fatto, da non affermarsi a priori o per tenue congettura, come sembra fare l'Autore e come altri hanno fatto. Alcuni, anzi, hanno trovato una discendenza giudaica perfino in un Rosenberg, in un Goebbels e in altri tra i più rumorosi persecutori tedeschi del giudaismo: perché riesce loro sospetto, come già fu nei primi bolscevichi russi, i loro zelo eccessivo contro gli ebrei, e non a torto. Ma non v'insistiamo! giusta del resto l'affermazione del Laemmel, che con tutto il loro zelo o furore anti giudaico, riuscirà impossibile ai razzisti il distruggere gli ebrei e quei tanti che degli ebrei hanno qualche oncia di sangue: non vi sarebbero carnefici bastevoli per ucciderli tutti. Ma qual uomo civile, nonché cristiano, può auspicare e promuovere una consimile soluzione del complesso problema? Esagera tuttavia l'autore, troppo immemore delle continuate persecuzioni degli ebrei contro i cristiani, in particolare contro la Chiesa Cattolica, e della alleanza loro coi massoni, coi socialisti e con altri partiti anticristiani; esagera troppo, quando conchiude che sarebbe non solo illogico ed antistorico, ma un vero tradimento morale se oggidì il cristianesimo non si prendesse cura della sorte degli ebrei . Né si può dimenticare che gli ebrei medesimi hanno richiamato in ogni tempo e richiamano tuttora su di sé le giuste avversioni dei popoli coi loro soprusi troppo frequenti e con l'odio loro verso Cristo medesimo, la sua religione e la sua Chiesa cattolica, quasi continuando quel grido dei loro padri che imprecava al sangue del Giusto e del Santo, la speranza e aspettazione di Israele: sanguis eius super nos et super filios nostros . Ma contro questo grido si leva sempre la supplice preghiera del popolo cristiano, di cui si fa guida la voce medesima del Papa, implorante la salvezza di quel popolo ribelle: perché "discenda sopra di essi quel Sangue medesimo come lavacro di redenzione e di vita".
A tanto non arriva il nostro difensore degli ebrei contro i socialisti nazionali; ma pure nel tentativo di dimostrare la inettitudine dei socialisti a cambiare il mondo, sente giustamente "che quello che deve cambiare non sono le leggi... sono i cuori degli uomini"; e che in ciò "errarono i giudei come gli altri; errò l'Einstein (giudeo) come errarono gli altri capi del popolo, e con ciò mostrarono che vi era tra ebrei e non ebrei unità, o comunanza, anche nell'errore". E qui ha più che ragione, purtroppo! ma non va sciolta con ciò la gran questione.

V

 

La questione giudaica del resto non entra per sé nella parte essenziale dell'argomento, come mostrerebbe di supporre l'autore nella troppo lunga digressione che fa per discuterla: essa ne è al più un semplice corollario.
Ora il corollario stesso si può bene applicare agli altri popoli, e con più forza ancora di ragioni che non faccia l'autore, in ciò troppo superficiale c sommario, come quando l'applica agli Armeni, ai Baltici, ai Balcani o Dinarici, agli Alpini, agli Etruschi, ai Mediterranei e via dicendo. Ma non occorre seguitarlo in questa scorribanda etnica, per dimostrare come in tutti questi popoli si avveri l'unità specifica, nonostante le diversità molteplici dei così detti caratteri somatici, psichici e morali, che noi diremmo di indole, di educazione, di cultura, ma che l'autore ama derivare, secondo una sua "legge pangenetica" alla lamarkiana, dalla "ereditarietà" . Questa e tanto discutibile, che all'autore stesso non importa neppure di sapere se l'uomo discenda da uno scimpanzé o da un gorilla ! Per ciò appunto egli ci dimostra con quale superficialità o leggerezza studi la questione, anche sotto il rispetto della filosofia materialistica e i suoi capisaldi essenziali, di cui è seguace.
Il punto capitale, noi diciamo, troppo perduto di vista nelle lunghe digressioni dallo scrittore tedesco, sta nella dimostrazione della unità essenziale delle stirpi o "razze" umane che è negata dai razzisti. Ora in questa dimostrazione per l'appunto si sente il debole della filosofia del nostro Autore, seguace dell'evoluzionismo, nel senso del Lamark, di evoluzione progressiva; mentre egli mostra di combattere il Darwin col suo trasformismo, talora invece sembra propendere ad ammetterlo, come nell'evoluzione contemporanea ecc. Ed un siffatto evoluzionismo il Laemmel estende anche alla religione, ai dogmi, alla morale, fino ad oscurare perciò l'origine divina del cristianesimo, della missione di Cristo e della sua Chiesa, e la immutabilità della morale stessa. Su questo anzi egli giunge a pretendere che la Chiesa debba col tempo mutare anche la sua legislazione nei punti più delicati, come in materia matrimoniale, equiparando egli le questioni dogmatiche e morali a quella di Galileo, nella quale segue gli idola fori dei pregiudizi popolari ed anticattolici, come in quella di Giordano Bruno, di Martin Lutero ed in altre questioni storiche, le più comunemente svisate, fra i protestanti massimamente. Vero è che, essendo i suoi avversari materialisti del pari, o seguaci dei consimili errori, proprii dei sistemi contemporanei da lui seguiti, il nostro autore si trova, come suol dirsi, sul terreno medesimo dell'avversario e dallo stesso presupposto muove all'assalto. Combatte dunque l'errore con un altro errore, ed il suo argomentare non può valere che ad hominem , come usano dire i logici, né ad altro riuscirà che a sloggiare da un errore i lettori per indurli o confermarli in un altro, non già guidarli alla ricerca schietta ed al possesso della verità. In altri termini, dal suo ragionamento non segue altro se non che falsa, o indimostrata almeno, è la teoria del razzismo, anche posti i principi della filosofia evoluzionistica, materialistica o simili, ammessi dagli avversari. Ora una tale conclusione può avere la sua forza personale, diciamo così, presso protestanti, socialisti nazionali, o nazisti infetti di materialismo come l'autore; ma non ha valore intrinseco di dimostrazione del!a unità essenziale della specie umana, secondo il concetto della vera filosofia; giacché ex absurdo sequitur quodlibet.
Non possiamo noi dunque seguire l'autore né raccomandarne il libro, senza le più gravi riserve; e ciò per i cattolici specialmente, i quali hanno una ben altra filosofia, ed una ben più consistente fermezza nella dottrina cattolica della unità, della origine e dei destini comuni della specie umana. Ma possiamo ben accordarci, e ne lodiamo l'autore, in una delle sue conclusioni più definitive: doversi le "razze" che si stimano superiori, non già straniarsi dalle altre, ma adoperarsi in pro delle inferiori, favorendone il migliore svolgimento possibile ed escludendo ogni odio di razza, di nazionalità o simile, per sostituirvi la legge dell'amore. E questa legge, certamente, la carità cristiana vuole inculcata e perfezionata, quale essenza di tutta la nuova civiltà, più che l'autore protestante non creda: al che specialmente conferisce, come egli medesimo riconosce, l'opera delle missioni cristiane. E nel riconoscimento imparziale delle benemerenze sociali dei nostri missionari il libero pensatore protestante ci pare che abbia superato se stesso, sollevandosi dall'angusta cerchia del suo materialismo ed evoluzionismo. E noi ben volentieri gli applaudiamo, come nell'ultima chiusa del suo volume, con quel caldo augurio che facciamo nostro: che "in tutte le scuole di Europa sia insegnato il Vangelo dell'amore contro il vangelo dell'odio! Tutti gli Stati e tutti i popoli, intorno all'afflitta Germania, vogliano unirsi nell'amore, nell'amore anche verso l'infelice popolo tedesco, ripensando ai suoi milioni di martiri!". E noi aggiungeremo ancora: ripensando alla ben più infelice lotta della Germania contro la divinità, più ancora che la romanità, della Chiesa cattolica, lotta ispirata dall'odio, a cui seguiva quella tristissima apostasia che è la causa più profonda e più deplorabile del presente soqquadro civile e religioso.
A quest'ultima causa non possiamo certamente aspettarci che ripensi il nostro protestante, convertito dall'ebraismo. Ma è innegabile, ed ormai riconosciuto da tutti gli storici più accreditati, che essa pure - quell'apostasia del secolo XVI, la quale doveva poi dalla ribellione appunto e dalla violenza della sua "protesta" contro Roma e l'antica civiltà cristiana prendere il nome di "protestantesimo" - moveva da una consimile origine, di morboso nazionalismo: da un senso di smisurato orgoglio, di insana baldanza e fiducia di sé e della propria "razza", contro la vera fede in Dio e nella sua Chiesa, ed infine con l'"odio di razza" e la detestazione di quanto era od appariva latino e romano, designato col nomignolo di "papismo". Era l'apoteosi paganeggiante della razza germanica, straniatasi allora in gran parte dal resto dell'Europa cristiana. Quel moto razzista infatti del Sassone anormale, che fu Lutero, divenuto ereticale ma sostenuto da principi viziosi e da popoli illusi o traditi, levò a fiamma tutto il Settentrione, cominciando da quella parte che strappata per ultimo alle superstizioni ed alle barbarie del suo vecchio paganesimo, dava più facile esca all'incendio. Esso poi con le susseguenti lotte nazionali rese insanabile la rottura dell'unità religiosa e sociale dell'Europa civile, di tutta anzi la famiglia dei popoli, compresa nel nome della "cristianità", più che non avesse fatto lo scisma d'Oriente. Ora l'ultimo stadio di quell'apostasia è il neopaganesimo del socialismo nazionalista, ossia "razzismo", emulo dell'ateismo bolscevico, ossia comunismo internazionale: altro estremo, e frutto esso pure dello scisma religioso d'insipienti reggitori... Et nunc... erudimini qui iudicatis terram!

NOTE
(l) Dr. RUDOLF LAEMMEL, Die menschlichen Rassen. Eine populärwissenschaftliche Einführung in die Grundprobleme der Rassentheorie, Zürich, 1936. Cfr. Civ. Catt. 1938, II, 407, nota.
(2) Cfr. Civ. Catt. 1915, I, 129; 420 segg. (Nazionalismo e amor di patria secondo la dottrina cattolica). Ved. anche l'opuscolo Il vero e il falso nazionalismo . (Dal rendiconto XI Sessione Settimane Sociali d'Italia Torino 1924). Milano, Soc. ed. Vita e Pensiero.