UNA LEZIONE DI EBRAICO
DI GILAD ATZMON
Pace non è Shalom e Shalom non è Sharon
PREMESSA:
Questo articolo è stato scritto da chi conosce molto bene la lingua
e la mentalità degli abitanti del così detto "israele".
Si tratta, appunto di ebreo israeliano, Gilad Atzmon, ma con idee assolutamente
rispettabili. Una lodevole eccezione alla quale il nostro sito vuole dare
voce
Negli ultimi giorni abbiamo letto alcuni articoli che elogiavano
le
ultime mosse politiche di Sharon, che ha intrapreso nei suoi nuovi
panni appena indossati di amante della pace. Sharon, un famigerato
criminale di guerra, un uomo che è riuscito costantemente a
dimostrare che manca completamente di qualsiasi remora morale o
etica, è riuscito a convincere i media occidentali di essere
la `voce della responsabilità' israeliana. A scanso di equivoci,
Sharon e il popolo israeliano sono davvero devoti amanti
della `pace', però è piuttosto fondamentale fare presente che
il
concetto israeliano di pace è assolutamente lontano da qualsiasi
nozione di pace conosciuta dal resto dell'umanità. Se si pensa alla
parola ebraica che significa pace di solito si fa rifermento alla
parola `shalom'. Ma è evidente che shalom e pace non sono sinonimi,
perché in realtà sono due parole molto diverse. Se shalom si
riferisce all'assenza di conflitti nel raggiungimento un senso
generale di sicurezza, pace ha un significato molto più ampio. Pace
è una soluzione reale. Pace è la ricerca di armonia fra i popoli.
Pace è fondamentalmente riconciliazione.
È molto triste ammettere che nella mentalità
ebraica manca
totalmente l'accezione più ampia del concetto di pace in termini di
armonia e riconciliazione.
Per gli israeliani shalom significa applicare una strategia
che
possa garantire un rifugio personale e nazionale al popolo ebraico.
Per gli israeliani shalom vuol dire vivere in pace, né più né
meno
di questo. Come si possa raggiungere o mantenere lo shalom non
preoccupa particolarmente gli israeliani. E nemmeno il fatto che
milioni di palestinesi siano soggetti al terrorismo di stato sotto
forma di gravi crimini di guerra condotti dalle Forze di Difesa
Israeliane, lo considerano un vero e proprio problema. Praticamente,
piuttosto che armonia e riconciliazione, shalom è una serie di
manovre politiche e militari per reprimere il nemico del popolo
ebraico.
E questa stessa filosofia dello `shalom' è proprio nel
fulcro della
scuola sionista di sinistra. È questa stessa percezione che porta la
sinistra israeliana a credere che l'opzione `due stati per due
popoli' sia attuabile. Chiaramente la soluzione dei due stati
promette shalom: garantisce sicurezza personale e rifugio al popolo
ebraico. L'anno scorso, nei giorni precedenti il ritiro unilaterale
da Gaza, Sharon ha dichiarato: "noi (gli israeliani) vogliamo lo
shalom ma vogliamo definirne i termini e le condizioni". L'idea di
Sharon non è tanto lontana dal programma di Shalom Now (`Shalom Now'
è un movimento di sinistra israeliano per lo shalom, ed è stato
erroneamente tradotto in "Peace Now"). La comprensione di Sharon
del
termine shalom non è molto diversa dalla filosofia di Peres e, in
termini categorici, non è tanto distante dalla percezione di Uri
Avnery del movimento Gush Shalom. Gli israeliani che inseguono la
pace vogliono sempre `definire i termini e le condizioni'. È vero,
i `termini e le condizioni' di Avnery, Peres e di Sharon sono
diversi, ma tutti credono nella divisione tra i popoli. Credono
tutti in due stati per i due popoli. Possono discutere sui confini,
ma aspirano tutti a risolvere la questione ebraica in termini sia
personali che nazionali. L'intero movimento shalom si occupa, con
metodi diversi, della divisione tra gli ebrei e i gentili, e questo
è il reale significato della parola israeliana shalom. È abbastanza
triste che questa strana visione egocentrica del mondo politico sia
il nucleo centrale del pensiero della sinistra israeliana, proprio
come la separazione è l'obiettivo centrale del sionismo. Questa è
la
logica che sta dietro l'abbandono collettivo della causa
palestinese, p.es. "il diritto di ritornare" da parte del movimento
shalom israeliano. Ci si potrebbe chiedere come sia possibile che la
sinistra israeliana ignori la causa dei loro nemici, il popolo con
il quale vorebbero fare shalom.
Come potranno mai gli israeliani instaurare un rapporto armonioso
con i loro vicini? La risposta è semplice: la sinistra israeliana
non è interessata alla riconciliazione e all'armonia. A loro
interessa shalom e shalom non è pace.
Sei mesi fa Bush ha definito Sharon un `uomo di pace'. Francamente
Bush non si sbagliava del tutto, si era solo perso nella traduzione.
Sharon non è un uomo di pace, è un uomo di shalom. Dal momento
che è
un ebreo nazionalista militante e una persona abile ed esperta,
Sharon è riuscito ad afferrare il maggior paradosso all'interno del
pensiero politico sionista. Nel discorso sionista è la sinistra che
si sta dirigendo verso uno stato invasato nazionalista e razzista. I
falchi, dall'altra parte, spingono verso una realtà multinazionale
di un `unico stato'. Per quanto ad alcuni possa sembrare strano sono
i coloni ebrei che si stanno impegnando nella creazione di una
realtà sociale indivisibile di uno stato, benché a larga maggioranza
palestinese. Sono i coloni che stanno rovesciando lo stato nazionale
ebraico. Sharon, lui stesso mentore storico del movimento dei
coloni, è riuscito a diagnosticare questa frattura all'interno della
filosofia colonica. Il vecchio ora si è reso conto che la
conservazione dello stato ebraico e la sua salvezza dalla catastrofe
demografica dipendono completamente dall'immediata separazione dalla
popolazione palestinese. Sharon e tutti i fautori dello shalom
vogliono uno stato ebraico solido con una chiara maggioranza
ebraica. Questa consapevolezza si è recentemente evoluta nel ritiro
da Gaza, e significherebbe anche l'allontanamento dalla Cisgiordania
nel prossimo futuro. È vero che Sharon si è unito al movimento
shalom ma non vuol dire che è diventato un amante della pace. Sembra
proprio che il vero significato della parola pace non si possa
tradurre in ebraico moderno.
Il significato di pace non è traducibile nella realtà
israeliana.
Inoltre non solo pace non si traduce con shalom, ma la sincera
aspirazione israeliana alla pace non garantisce altro che la
continuazione della guerra. Se il risultato dello shalom è in realtà
la divisione tra i due popoli del paese, non potrà mai portare
armonia e riconciliazione alla regione e questo per ovvie ragioni.
Shalom non potrà mai rivolgersi sia alla causa sionista che a quella
palestinese: non si occupa minimamente del diritto dei palestinesi,
dettato dalla morale, di ritornare. Ma trascura anche l'oltraggiosa
pretesa nazionalista ebraica di stabilirsi sull'intero territorio
della grande Israele a spese degli indigeni palestinesi. Per cui
shalom è la continuazione della guerra. Certamente Sharon vuole lo
shalom, probabilmente è questa la ragione per la quale Blair e Bush
sono così entusiasti di lui. Con Sharon al potere, e sembra che ci
rimarrà, continuerà a prevalere lo shalom. Si imporrà
ai palestinesi
uno shalom unilaterale. Uno shalom che permetterebbe il
bombardamento infinito e spietato dei palestinesi che insistono per
tornare nella loro patria. Quello che rimarrà della Terra Santa è
un
crudele shalom che uccide chiunque decide di vivere in pace.
Gilad Atzmon