
Conoscere
il Comunismo
Dispense
filosofico-formative
Questo studio è utilissimo per
capire la situazione politica
attuale, nonostante risalga al
1971.
Che
cosa il marxismo dice di essere
"Il marxismo
leninismo (è una) concezione
unitaria del mondo"(1).
Quale "concezione del
mondo"? "Il
materialismo dialettico è la
concezione del mondo propria del
partito marxista
leninista"(2). "Il
marxismo, come concezione del
mondo e preso in tutta la sua
ampiezza, si chiama materialismo
dialettico... Questa
denominazione di materialismo
dialettico si addice alla
dottrina così designata meglio
del termine abituale di
marxismo''(3). "Il marxismo
non è un'astratta teoria
Filosofica né un semplice metodo
storiografico, e neppure un
limitato campo di dottrine
economiche e politiche, ma una
completa concezione del mondo
poggiante sul materialismo
dialettico e storico - in cui
tutti questi aspetti sono
presenti organicamente
fusi"(4). Il marxismo non è
una somma di dottrine
giustapposte che possono essere
giudicate separatamente, ma è un
tutto organico che deve essere
considerato sempre nel suo
insieme. Considerazioni del tipo
"accetto l'analisi economica
del Marxismo ma non la
filosofia", "accetto
questa singola parte e rifiuto
quest'altra", denunciano una
fondamentale incomprensione del
carattere globale del marxismo.
Il
Materialismo
"La filosofia del
marxismo è il materialismo... la
filosofia di Marx è il
materialismo filosofico
integrale"(5).
Che cosa è il materialismo?
Il materialismo è la dottrina
secondo cui la materia è l'unica
realtà: non c'è Dio, non c'è
anima, non ci sono valori e fini
spirituali che trascendono
l'uomo, ma tutto ciò che esiste
è un prodotto della materia.
"Il materialismo...
considera come dato primordiale
la materia e come dato secondario
la coscienza, il pensiero, la
sensazione"(6). Il marxismo
distingue due soli tipi di
filosofia: - il materialismo,
secondo cui tutto ciò che esiste
proviene dalla materia: -
l'idealismo, che ammette
l'esistenza di qualcosa che non
proviene dalla materia.
Idealista, per i marxisti, è
dunque non solo Hegel, secondo il
quale l'idea è l'unica realtà,
ma chiunque affermi l'esistenza
di realtà non materiali (Dio,
l'anima, ecc.). Che cos'è la
materia?
Il marxismo evita per lo più di
impelagarsi in questioni
scientifiche sull'essenza della
materia (atomi o energia,
corpuscoli o onde, ecc.). La
materia è una "categoria
filosofica" (Lenin): in
questo senso è semplicemente
definita "ciò che agendo
sugli organi dei nostri sensi
produce la sensazione"(7).
Le proprietà della materia sono
l'eternità e l'infinità: ''in
ogni sua parte non ha né
principio né fine"(8).
"Eternità nel tempo ed
infinità nello spazio consistono
già originariamente e secondo il
semplice senso letterale delle
parole nel non avere un termine,
alcuna direzione, né su né
giù, né a destra né a
sinistra"(9). Lo spirito, il
pensiero, la coscienza derivano
dalla materia: non che il
pensiero sia materiale, ma
"la nostra coscienza, il
nostro pensiero, per quanto
appaiano sovrasensibile, sono il
prodotto di un organo materiale
corporeo: il cervello. La materia
non è un prodotto dello spirito,
ma lo spirito stesso, non è
altro che il prodotto più alto
della materia. Questo,
naturalmente, è materialismo
puro"(10).
Il
materialismo dialettico
Il materialismo marxista
si distingue da tutti quei
materialismi che hanno concepito
la realtà come oggetto: non
invece come attività sensibile,
prassi"(11). Il materialismo
illuministico (Helvetius,
d'Holbach, Diderot), il
materialismo positivistico
(Moleschott, Buchner) sono
materialismi statici, Marx
aggiunge una nota dinamica, la
dialettica. La materia non è
statica, ma è in movimento:
"il movimento è il modo di
esistere della materia"
(12). Come la materia, il
movimento è infinito ed eterno:
"non si può né creare né
distruggere" (13) e
"quando noi diciamo che
materia e movimento sono increati
e indistruttibili, noi diciamo
che il mondo esiste come
progresso infinito, e abbiamo con
ciò compreso tutto ciò che c'è
da comprendere" (14). Non un
qualunque movimento, ma il
movimento dialettico, la
dialettica. Per Hegel la
dialettica era il movimento
dell'unica realtà che e l'Idea,
lo Spirito, il Pensiero
("Panlogismo"; tutto è
Idea). Tale movimento avveniva
attraverso la continua nascita,
dalla totta di due termini che si
urtano, di un terzo termine
sintetico che supera gli altri
due e che subito diventa il primo
membro di una nuova triade. Il
processo del reale è sempre un
processo triadico: il primo
termine si chiama tesi, il
secondo antitesi, il terro - che
supera gli altri due - sintesi.
Ogni sintesi diventa la tesi di
una nuova triade, e così via
all'infinito.
Il
materialismo storico
Il materialismo storico
è l'applicazione del
materialismo dialettico alla
storia della società: "Il
materialismo storico estende i
principi del materialismo
dialettico allo studio della vita
sociale... allo studio della
storia e della società"
(23). Non si tratta di un'altra
componente dissociabile dal
materialismo dialettico: la
stessa evoluzione della materia,
che ha prodotto l'uomo mediante
il lavoro primordiale, prosegue,
sempre avanzando dialetticamente,
mediante il lavoro organizzato.
Lavorando, l'uomo si trasforma,
la natura si muta, l'evoluzione
continua: "cambiare la
società" significa allora
"cambiare l'uomo".
La storia interpretata
materialisticamente
L'elemento fondamentale
dell'evoluzione storica è
l'elemento materiale, economico:
"La forma fondamentale
dell'attività degli individui è
naturalmente quella materiale,
dalla quale dipende ogni altra
forma intellettuale, politica,
religiosa, ecc." (24).
"Le relazioni fondamentali
di ogni società umana sono
quindi i rapporti di
produzione" (25) che
costituiscono la "struttura
essenziale" la
"infrastruttura" su cui
si impianta la
"sovrastruttura"
ideologica (morale, diritto,
arte, religione, ecc.) che non ne
è che il riflesso. "Non è
la coscienza dell'uomo che
determina la sua maniera di
essere, ma è, al contrario, la
sua maniera di essere sociale che
determina la sua coscienza"
(26). I rapporti di produzione
determinano le classi sociali,
che si presentano come dato
costante della storia da quando
esiste la proprietà privata. La
storia, dunque, è storia di
classi.
La storia interpretata
dialetticamente
Le classi entrano necessariamente
in conflitto fra di loro:
"la lotta di classe... è un
fenomeno assolotamente necessario
e inevitabile" (27). La
conflittualità storica che si
esprime nella lotta di classe è
diretta conseguenza della
conflittualità filosofica della
dialettica. Nella storia c'è un
necessario processo dialettico,
che si fonda sulla
contradditorietà del reale e
sulla lotta degli opposti. Da
questa lotta, attraverso il
processo triadico
tesi-antitesi-sintesi, scaturisce
il progresso. "La storia di
ogni società finora esistita è
storia di lotta di classe. Liberi
e schiavi, patrizi e plebei,
baroni e servi della gleba... in
una parola, oppressori e oppressi
sono sempre stati in contrasto
fra di loro, hanno sostenuto una
lotta ininterrotta... una lotta
che finì sempre o con una
trasformazione rivoluzionaria di
tutta la società o con la rovina
comune delle classi in
lotta" (28). E' la tesi
mentale del "Manifesto del
partito comunista". Allo
stadio attuale in cui è giunta,
la lotta di classe si è
semplificata, al punto che non
esistono più che due classi:
borghesi e proletari.
"L'epoca nostra, l'epoca
della borghesia, si distingue...
perché ha semplificato i
contrasti fra ie due classi. La
società intera si va sempre più
scindendo in due grandi campi
nemici, in due grandi
direttamente opposte l'una
all'altra: borghesia e
proletariato" (29). La
borghesia è la classe
sfruttatrice, il proletariato è
la classe sfruttata. Lo
sfruttamento consiste in questo:
che il proletario con il suo
lavoro crea nella merce che
produce un "valore" che
solo parzialmente è coperto dal
salario che percepisce, mentre
per il rimanente è accumulato
dal capitalista, il quale si
arricchisce grazie a questo
plusvalore ingiustamente
sottratto al lavoratore. Di qui
l'aggravarsi delle condizioni del
proletariato, che necessariamente
condurrà alla rivoluzione e alla
"dittatura del
proletariato", insieme esito
necessario e termine della lotta
di classe in quanto ché, dopo la
vittoria del proletariato, non si
potrà più parlare di classi
distinte. La lotta di classe,
cioè, "ha ora raggiunto un
punto in cui la classe sfruttata
e oppressa (il proletariato) non
può più liberarsi dalla classe
che la sfrutta e la opprime (la
borghesia) senza liberare anche a
un tempo, e per sempre, la
società tutta dallo
sfruttamento, dall'oppressione e
dalla lotta fra le classi"
(30). Occorre notare che la
teoria economica del
valore-lavoro, che è il nucleo
del "Capitale" di Marx,
non può essere staccata dal
quadro filosofico generale del
marxismo. Non si può
"accettare l'analisi
economica di Marx rifiutando la
sua filosofia", come alcuni
dicono: agli economisti che
criticavano la nebulosa teoria
del valore-lavoro, il marxista
Rudolf Hilferding rispose nel
1904 (ne "La critica di
Bohm-Bawerk a Marx") che
"il problema non si pone a
livello semplicemente
economico". L'analisi
materialista dell'economia non si
può giudicare indipendentemente
dal materialismo dialettico, anzi
è l'applicazione del
materialismo dialettico
all'economia.
La dittatura del proletariato
e il deperimento dello Stato
La dittatura del proletariato è
un momento di transizione verso
la società senza classi: e
poiché lo Stato è la traduzione
storica degli antagonismi di
classe, macchina repressiva,
strumento di dominazione, la
scomparsa delle classi porterà
con sé la scomparsa dello Stato.
Il fine è analogo a quello
anarchico. In termini giuridici
si avranno:
1°) - un periodo di
super-diritto (la dittatura del
proletariato) in cui il diritto
regolerà minuziosamente la vita
dell'individuo in tutti i minimi
particolari, cioè di massimo
potere possibile dello Stato
sulla persona.
2°) - un periodo di non-diritto,
in cui non ci sarà più bisogno
di codici né di leggi perché te
masse seguiranno spontaneamente
il meglio. "Il proletariato
non ha bisogno dello Stato che
per un certo tempo. Non siamo
affatto in disaccordo con gli
anarchici quanto all'abolizione
dello Stato, come fine.
Affermiamo che, per respingere
gli avversari e raggiungere
questo scopo, è necessario
utilizzare provvisoriamente gli
strumenti... del potere dello
Stato contro gli sfruttatori,
così come, per la soppressione
delle classi, è indispensabile
la dittatura provvisoria della
classe oppressa" (31). Come
finirà la dittatura del
proletariato, lo Stato
proletario? Non in maniera
violenta, come è finito lo Stato
borghese, ma, secondo Lenin, in
modo naturale, per deperimento.
Ci sarà, cioè, uno spontaneo
passaggio dalla fase inferiore
alla fase superiore della
società comunista. Allora
"tutta la società non sarà
più che un grande ufficio ed una
grande fabbrica con eguaglianza
di lavoro ed eguaglianza di
salario" (32). Dittatura
degli operai armati che secondo
Lenin determinerà l'assuefazione
al lavoro spontaneo: e, mentre il
capitalismo borghese remunerava
secondo il lavoro effettuato, la
società senza classi remunererà
ognuno secondo i suoi bisogni.
"Da ognuno secondo le sue
capacità, a ognuno secondo i
suoi bisogni". Questo
passaggio dal capitalismo alla
fase inferiore del comunismo
(dittatura del proletariato) in
cui tutti sono coercitivamente
uguali, e dalla fase inferiore a
quella superiore (società senza
classi) in cui l'uguaglianza è
invece il risultato delle libere
volontà, è secondo Lenin
inevitabile, e dunque non è
utopistico, ma scientifico. Si
ignorano i tempi dello sviluppo,
ma abbiamo la certezza di questo
"deperimento":
l'evoluzione storica
travolgerà la religione, la
famiglia, la proprietà.
Queste grandi linee
dell'ideologia marxista ci
permettono di definire il
marxismo una setta filosofica:
non una scuola, non una corrente,
non un movimento di pensiero, ma
una setta per il suo carattere
religioso: una religione
evidentemente secolarizzata e
trasposta sul piano temporale. Si
tratta di una vera e propria
utopia: e il carattere proprio di
ogni utopia è quello di falsare
le leggi necessarie della natura,
falsare quell'ordine che è stato
dato da Dio e a cui l'uomo deve
conformarsi, entro cui deve
realizzarsi. L'odio per Dio porta
a negare la Sua creazione: la
natura. Così, mediante il
processo dell'evoluzione storica,
il marxismo cerca di dissolvere
le realtà naturali prime,
facendone pure realtà storiche
in balia del trionfante divenire:
cosi è per la religione, la
famiglia, la proprietà.
Il
comunismo nega la religione, la
famiglia, la proprietà
A) Religione
Il marxismo, presentandosi come
materialismo e negando quindi
l'esistenza di Dio, nega di
conseguenza la religione come
rapporto necessario che lega,
attraverso il rito, l'uomo a Dio.
La religione è una
sovrastruttura: "L'uomo fa
la religione e non la religione
l'uomo... (la religione) è la
realizzazione fantastica
dell'essenza umana",
"essa è l'oppio del
popolo" (33). "La
religione - aggiunge Lenin - è
una specie di acquavite
spirituale, nella quale gli
schiavi del capitale annegano la
loro personalità umana e le loro
rivendicazioni di una vita in
qualche misura degna di
uomini" (34). Secondo la
Grande Enciclopedia Sovietica, la
religione "è antisocialista
per definizione, costituendo il
prodotto dell'impotenza e
dell'ignoranza: è l'oppio del
popolo, secondo
quell'affermazione di Marx che
Lenin definì la base della
dottrina marxista in
materia"(35). La religione
è dunque un male sociale che la
rivoluzione comunista deve
combattere: "la nostra
propaganda comprende
necessariamente anche la
propaganda dell'ateismo"
(36). Secondo l'art. 124 della
Costituzione Sovietica: "La
libertà di culto e la libertà
di propaganda antireligiosa sono
riconosciute per tutti i
cittadini". Di fatto la
propaganda religiosa e
l'insegnamento religioso sono
proibiti, mentre è favorita e
incrementata la propaganda
ateistica e antireligiosa. In
realtà, come ogni forma di
pensiero rivoluzionario, il
marxismo vuole sostituire il
culto dell'uomo al culto di Dio:
"La critica della religione
disinganna l'uomo affinché egli
consideri, plasmi e raffiguri la
sua realtà come un uomo
disincantato, divenuto
ragionevole, perché egli si
muova intorno a sé stesso e
quindi al suo vero sole. La
religione è soltanto il sole
illusorio che si muove attorno
all'uomo, finché questi non si
muove attorno a sé stesso"
(37). "La critica della
religione porta alla dottrina
secondo la quale l'uomo è per
l'uomo l'essere supremo"
(38). L'uomo è Dio dell'uomo, e
l'utopia del paradiso che la
Rivoluzione creerà sulla terra
sostituisce la fede nella vita
eterna: "la lotta
effettivamente rivoluzionaria
della classe oppressa per creare
il paradiso in terra é per noi
più importante dell'unita delle
idee dei proletari sul paradiso
in cielo" (39). La religione
è però insieme
"espressione della miseria e
protesta contro di essa"
(40). Marx, come poi Gramsci,
distingue dunque:
- una religione
"progressiva" (la
"protesta contro la
miseria") che esprime
utopisticamente, in forma confusa
e mitica, l'ugualitarismo
rivoluzionario che solo il
marxismo esprimerà
scientificamente. Questa
"religione" va dunque
"demistificata" e
"inverata": il credente
progressista, seguendo la sua
stessa linea di pensiero, va
condotto coerentemente
all'ateismo marxista;
- una religione
"tradizionale"
("espressione della
miseria") che va totalmente
sradicata e distrutta.
B) Famiglia
- La famiglia è una
sovrastruttura
La famiglia, come la religione e
la proprietà, è per il
comunismo una realtà di storia e
non di natura: quindi" che
l'abolizione dell'economia
separata sia inseparabile
dall'abolizione della famiglia è
cosa che s'intenda da sé"
(41). Secondo Marx il comunismo
finirà per introdurre "una
forma superiore del rapporto tra
i due sessi" fondata sulla
"composizione del personale
operaio combinato con individui
d'ambo i sessi e delle età più
differenti" (42).
- L'origine della famiglia
Secondo Engels (nella nota opera
"l'origine della famiglia,
della proprietà privata e dello
Stato" (43), fondata
peraltro sugli studi
dell'etnologo americano Morgan,
oggi caduti nel più completo
discredito) la famiglia
monogamica è nata con la
proprietà privata e col diritto
del padre di trasmettere il
capitale. Nell'epoca primitiva
l'orda originaria viveva non solo
nel comunismo primitivo, ma anche
nella completa promiscuità
sessuale. Soltanto
successivamente nella società di
classi nata con la proprietà
privata, nasce la famiglia, dove
la donna è vittima e l'uomo
sfruttatore: anzi, c'è un
rapporto fra l'alienazione
familiare e lo sfruttamento della
classe oppressa, il proletariato.
Il passaggio al comunismo
comporterà dunque la
"liberazione della
donna" mediante la
soppressione della famiglia.
- La soppressione della famiglia
Secondo Engels il comunismo
sopprimerà "la duplice base
dell'odierno matrimonio - la
dipendenza della donna dall'uomo
e dei figli dai genitori"
(44). Le due soppressioni sono
collegate: emancipare la donna
per il marxismo vuol dire
emanciparla dal lavoro domestico
e toglierle l'educazione dei
figli, che sarà effettuata dallo
Stato socialista: "Col
passaggio dei mezzi di produzione
in proprietà comune la famiglia
singola cessa di essere l'unità
economica della società.
L'amministrazione domestica
privata si trasforma in una
industria sociale. La cura e
l'educazione dei fanciulli
diventa un fatto di pubblico
interesse; e la società ha cura
in eguale modo di tutti i
fanciulli" (45). Tutto
questo dovrebbe portare
all'abolizione del matrimonio e
al libero amore: ''I rapporti dei
due sessi diventeranno rapporti
del tutto privati che riguardano
soltanto le persone direttamente
interessate e nei quali la
società non avrà minimamente di
che immischiarsi" (46). In
pratica nell'Unione Sovietica ci
sono stati atteggiamenti diversi:
prima tappa:
tentativo di distruggere il
vecchio tipo di matrimonio:
introduzione immediata del
divorzio e, per la prima volta
nella storia, dell'aborto (1°
dicembre 1917), negazione della
validità del matrimonio
religioso (20 dicembre 1917),
nuovo diritto di famiglia
(settembre 1918);
seconda tappa:
Codice del 1926 (in vigore dal
1° gennaio 1927): viene
riconosciuto il "matrimonio
non registrato", cioè
l'unione libera, accanto al
matrimonio registrato. E' il
momento del libero amore: in
Russia viene accolto con
entusiasmo Wilhelm Reich,
fondatore nel 1931
dell'organizzazione SEXPOL e
teorica di un incontro tra Marx e
Freud nella teoria della funzione
rivoluzionaria del libero orgasmo
(molte sue teorie sono state
riprese da H. Marcuse); la
promiscuità sessuale viene
incoraggiata;
terza tappa:
di fronte alle necessità,
industriali e belliche poi, i
capi dell'Unione Sovietica
sentono il bisogno di una certa
integrità psico-fisica della
popolazione e decidono di
arrestare il processo dissolutivo
del "libero amore". Le
"unioni libere" vengono
scoraggiate; si viene - in un
certo senso - a patti con la
natura: ma ''l'abolizione del
matrimonio", anche se non
ancora tecnicamente possibile,
resta il fine della società
conquista.
C) proprietà
"I comunisti possono
riassumere la loro dottrina in
questa unica espressione:
abolizione della proprietà
privata"(47). Anche la
proprietà privata è per il
marxismo una realtà storica e
non naturale; per Engels sono
esistite diverse forme di
proprietà che corrispondono ai
diversi stadi di sviluppo della
divisione del lavoro: la
proprietà della tribù, la
proprietà della città antica,
la proprietà feudale, infine la
proprietà privata basata sul
capitale e sull'industria
moderna. La proprietà privata è
per Marx conseguenza del lavoro
alienato e, nello stesso tempo,
mezzo in cui il lavoro si aliena.
La proprietà è la tesi di cui
la classe operaia è l'antitesi:
producendo il proletariato, la
proprietà ha segnato la sua
fine. La Rivoluzione sarà un
atto di appropriazione,
l'abolizione di ogni proprietà.
"La proprietà privata
dovrà essere abolita e
sostituita dall'uso in comune di
tutti i mezzi di produzione e
dalla distribuzione di tutti i
prodotti secondo un'intesa
generale, cioè dalla comunanza
dei beni. L'abolizione della
proprietà privata é anzi la
più significativa sintesi della
trasformazione dell'intero
ordinamento sociale, come
necessariamente deriva dallo
sviluppo dell'industria, ed è
quindi a ragione messa innanzi
dai comunisti quale
rivendicazione principale"
(48). E' importante notare che
secondo Engels l'abolizione della
Proprietà privata "non
potrà essere effettuata in un
colpo solo" ma "solo
gradatamente" (49), mediante
varie tappe, tra cui:
"limitazione della
proprietà privata per mezzo
d'imposte progressive, imposte
sull'eredità, ecc. graduale
espropriazione della proprietà
fondiaria, dei proprietari di
fabbriche e di ferrovie e degli
armatori di navi, accentramento
del credito nelle mani dello
Stato per mezzo di una banca
nazionale con capitale di stato e
soppressione di tutte le banche
private... concentrazione dei
mezzi di trasporto sotto il
controllo dello Stato. Queste
misure non possono, naturalmente
essere adottate tutte in una
volta. Ma l'una trarrà con sé
l'altra. Appena dato il primo
radicale assalto alla proprietà
privata, il proletariato si
vedrà costretto ad andare più
avanti ed a concentrare sempre di
più il capitale, tutta
l'industria, tutti i mezzi di
comunicazione e di scambio nelle
mani dello Stato" (50).
Nella prassi degli attuali
partiti comunisti queste tappe
non iniziano necessariamente nel
momento in cui il comunismo va al
potere ma già prima,
costringendo i governi non
comunisti a una "politica di
riforme" che attacchi la
proprietà con pressioni fiscali,
nazionalizzazioni, ecc. Negando
la religione, la famiglia e la
proprietà, il comunismo nega le
istituzioni naturali. Il
comunismo si definisce come
negazione dell'ordine naturale,
riflesso a sua volta di una legge
naturale che ha in Dio il suo
autore, e si qualifica dunque
come una delle manifestazioni
storiche di quel rifiuto che la
società moderna opera di Dio.
Rifiuto che definiamo
Rivoluzione, caricando questo
termine di una valenza e non di
affermazione. La negazione di Dio
comporta immediatamente la
negazione dell'essere, che il
marxismo vorrebbe dissolvere nel
movimento e nel divenire. Il
comunismo, così, si presenta
necessariamente te come
Rivoluzione permanente.
La
Rivoluzione Permanente
Occorre vincere un
pregiudizio fondamentale che
rischia di impedire qualunque
considerazione adeguata del
comunismo. Molti pensano che
l'obiettivo del comunismo sia
l'instaurazione di una società
perfetta, da cui tutte le
ingiustizie siano eliminate: e la
Rivoluzione sarebbe un mezzo per
raggiungere questo fine. Nulla di
meno marxista! Lo scopo è fare
la Rivoluzione: e i mezzi sono le
contraddizioni che si incontrano
(o che il Partito crea) nella
società. "Marx non si
rifece... dal proletariato, dai
suoi bisogni e dalle sue
sofferenze, dalla necessità di
liberarlo, per trovare poi, come
unica via della salvezza del
proletariato, la Rivoluzione. Al
contrario, egli camminò proprio
all'inverso... Nel cercare la
possibilità della Rivoluzione,
Marx trova il proletariato"
(51). Il marxismo non ha come
scopo l'eliminazione della
miseria: "Il marxismo non
arreca un umanitarismo
sentimentale e piagnucoloso. Marx
non si è chinato sul
proletariato perché esso è
oppresso, per lamentarsi della
sua oppressione... Il marxismo
non si interessa al Proletariato
in quanto esso è debole - come
le persone
"caritatevoli", certi
utopisti,
"paternalisti", sinceri
o no - ma in quanto esso è una
forza... In una parola, il
marxismo vede nel proletariato il
suo avvenire e le sue
possibilità" (52). "Lo
scopo della riforma agraria non
è di dare delle terre ai
contadini poveri né di alleviare
le loro miserie: questo è un
ideale da filantropi, non da
marxisti... Il vero scopo della
riforma agraria é la liberazione
delle forze rivoluzionarie nel
paese" (53). Anzi, il
marxismo si serve della miseria
come strumento: senza la miseria
del proletariato non sarebbe
possibile la rivoluzione; essa
non è dunque un male da
eliminare, ma un mezzo da
sfruttare per il fine. Al
contrario, "la 'prosperità
industriale' determina i
tentativi di 'comprare gli
operai' e di allontanarli dalla
lotta: questa prospettiva in
genere 'demoralizza' gli
operai" (54).
Così, nei loro scritti
sull'India e sulla Cina Marx ed
Engels si rallegrano cinicamente
della miseria generata dai
tentativi inglesi di
industrializzazione forzata
dell'0riente: essa alimenterà la
Rivoluzione. "Per quanto sia
sentimentalmente deprecabile lo
spettacolo di queste miriadi di
laboriose comunità sociali
patriarcali e inoffensive,
disorganizzate e dissolte nella
loro unità, gettate in un mare
di lutti e i loro membri singoli
privati a un tempo della forma di
civiltà tradizionale e dei mezzi
ereditari di esistenza" e
anche se "la Gran Bretagna
era animata dagli interessi più
vili" "non e questo il
problema. Il problema è: può
l'umanità compiere il suo
destino senza una profonda
rivoluzione nei rapporti sociali
dell'Asia? Se la risposta è
negativa, qualunque sia il
crimine perpetrato
dall'Inghilterra, essa fu, nel
provocare una simile rivoluzione,
lo strumento inconscio della
storia" (55). Anche dal
sistema del libero scambio e
degli eccessi del capitalismo
nascente Marx si rallegra per lo
stesso motivo: "Ai nostri
giorni il sistema di libero
scambio dissolve le antiche
nazionalità e spinge all'estremo
l'antagonismo fra borghesia e
proletariato: insomma, il sistema
della libertà di commercio
affretta la rivoluzione sociale.
E' solo in questo senso
rivoluzionario che io voto a
favore del free-trade" (56).
Concludendo, il marxismo non ha
per fine la riforma, ma la
rivoluzione: "per il
riformista la riforma è tutto...
per il rivoluzionario, al
contrario la cosa principale è
il lavoro rivoluzionario e non la
riforma: per lui, la riforma non
è che il prodotto accessorio
della Rivoluzione... Una riforma
è naturalmente uno strumento di
rafforzamento della Rivoluzione,
un punto d'appoggio per lo
sviluppo continuo del movimento
rivoluzionario" (57).
Dunque la rivoluzione è il fine.
Ma quale Rivoluzione? Che cos'è
la Rivoluzione?
Occorre ricordare che il marxismo
consta anzitutto, come si è
detto, di due princìpi
fondamentali:
1°) - il mondo è materia in
evoluzione dialettica e in
continua marcia verso il meglio;
2°) - esiste una
"parte", o meglio,
un'età della materia, l'uomo,
che, a differenza degli altri
esseri, è in grado di
comprendere (grazie al pensiero,
che pure deriva dalla materia)
legge dialettica dell'evoluzione.
Egli può (e quindi deve)
collaborare al divenire
evolutivo. Può accelerare la
Rivoluzione, la marcia verso il
meglio. Questo aiuto che l'uomo
dà all'evoluzione è detto
appunto Rivoluzione. La
Rivoluzione, cioè la
collaborazione dell'uomo al
divenire evolutivo, si compie in
due fasi:
1°) - una fase negativa: la
distruzione di tutte quelle
realtà e quegli istituti che,
essendo naturali, sono stabili,
tendono a permanere nel proprio
essere, a restare uguali a sé
stessi, e dunque sono colpevoli
di "lesa evoluzione".
Per questo la Rivoluzione deve
abbattere la famiglia, la
religione, la proprietà, la
stessa natura umana;
2°) - una fase positiva: dopo
l'instaurazione della società
comunista, il lavoro collettivo,
corale, incessante di tutti gli
uomini per ottenere la propria
auto-evoluzione attraverso la
modificazione della natura
esterna e interiore. La
Rivoluzione perciò non è un
semplice rivolgimento storico:
"La nostra rivoluzione è
diversa dalle altre rivoluzioni
della storia... per il
proletariato, la liberazione e la
vittoria politica sono soltanto
l'inizio della Rivoluzione"
(58). Ma il divenire incessante,
la contraddizione come essenza
della realtà: "la vita
consiste anzitutto precisamente
nel fatto che un essere, in ogni
istante, è sé stesso ed è
anche un altro. Quindi la vita è
del pari una contraddizione
presente nelle cose e nei
fenomeni stessi, contraddizione
che continuamente si risolve; e
non appena la contraddizione
cessa, cessa anche la vita"
(59). E' l'esito ultimo del
primato del divenire sull'essere.
La società rivoluzionaria é la
società della contraddizione
incessante, la società della
negazione della natura, della
negazione di Dio nella sua opera,
e il marxismo è l'adorazione
filosofica del divenire. La
futura "società
comunista", così, non sarà
certo una società senza
contraddizioni (quasi che la
dialettica potesse cessare!) né
senza lotte (Mao Tze-Tung ha
teorizzato la necessità di
continue "rivoluzioni
culturali" anche dopo
l'avvento del socialismo) e del
resto "Marx non ha mai detto
che il comunismo possa essere il
periodo terminale della storia
umana. Anzi, al contrario.
Solamente, di ciò che verrà in
seguito noi non possiamo
esattamente dir nulla" (60).
Lo slogan che circolava tra i
bolscevichi, la cui formulazione
sembra paradossale, al contrario
definisce rigorosamente il
carattere della Rivoluzione
comunista: "La méta è
nulla, il movimento è
tutto!".
Il
leninismo
1) Il leninismo
Il comunismo, come abbiamo visto,
si definisce come negazione della
natura, e negazione, nella
natura, del suo Autore, cioè di
Dio. Il comunismo, tuttavia,
conosce la natura. Se non la
conoscesse, del resto, non
potrebbe negarla. Sa cioè che
esiste una natura, afferma la
possibilità di trasformarla -
ma, per trasformarla, comincia
col tenerne conto. Solo in questa
prospettiva si può capire Lenin
e comprendere lo spartiacque tra
quel filone di socialismo
romantico che va da Blanqui a
Sorel e che è noto come
blanquismo, e il marx-leninismo,
il leninismo scientifico che non
si accontenta
dell'improvvisazione romantica,
ma fa della Rivoluzione non solo
uno slancio o una tensione
ideale, ma una scienza. Si tratta
di due linee metodologicamente
contrapposte. Il blanquismo è
volontarismo rivoluzionario, la
versione rivoluzionaria, cioè,
di quello che dalla parte opposta
viene talvolta indicato come
golpismo. La sua prospettiva si
potrebbe riassumere in questi
termini: bisogna trovare delle
persone assolutamente disposte a
fare la rivoluzione secondo la
modalità operativa principale
della cospirazione, fino al colpo
di Stato. I dati naturali, lo
stato della nazione, interessano
marginalmente: e il blanquismo è
più interessato al reclutamento
di rivoluzionari che alla loro
formazione, perché pensa,
volontaristicamente, che basti la
ferma volontà di fare la
Rivoluzione per assicurarne il
successo. Il leninismo è invece
una prospettiva più complessa
che, senza negare la necessità
del reclutamento del nucleo di
militanti necessari
all'operazione rivoluzionaria, si
sforza di costruirli
razionalmente tenendo conto dei
dati naturali e della struttura
naturale della società. La
natura conosce l'autorità,
conosce la gerarchia, conosce
legge secondo cui sono i pochi a
guidare i molti: verità
elementari che i teorici
dell'élitismo (Mosca, Pareto,
Michels) riscopriranno in quegli
anni e che lo stesso Lenin
riaffermerà, tanto da essere
definito da parte dello storico
social-democratico Borkenau, come
l'"antidemocratico"
fautore della "teoria
fascista delle élites"
(61). Si può discutere sulla
fedeltà di Lenin a Marx, ma
certamente, se è vero che la
prassi è per il marxismo il
metro di giudizio della dottrina,
Lenin è, più di Marx, il vero
Marxista e il vero
rivoluzionario: Lenin ha fatto la
Rivoluzione, mentre Marx si è
limitato a parlarne. Il marxismo,
abbiamo detto, è una setta
filosofica: ma non è soltanto
questo, perché passa all'azione,
è azione, è prassi
rivoluzionaria. Esso si può
dunque ulteriormente definire
come una setta filosofica che
attraverso un'organizzazione
sovversiva si propone la
conquista del mondo.
a) - una setta filosofica...
non solo una filosofia, non solo
una scuola di pensiero, ma una
concezione del mondo che surroga
la religione presentandosi in
termini di certezza assoluta. Il
filosofo non è lo studioso delle
leggi oggettive della natura ma
l'apostolo intollerante di una
nuova verità. Su questo piano è
evidente la filiazione
dall'illuminismo, primo movimento
culturale che abbia inteso fare
del filosofo non un conoscitore
della verità, ma un
propagandista.
b) - ...che attraverso
un'organizzazione sovversiva...
Il Marxismo introduce dunque un
elemento ulteriore: il primato
della prassi, elemento di
radicale novità che fa del
filosofo non solo un
propagandista culturale, ma un
uomo che agisce, che fa, un
organizzatore e propagandista
della Rivoluzione. In questo
senso non è soltanto una setta
filosofica, ma una vera
organizzazione sovversiva. Lenin,
che i socialdemocratici accusano
di aver deformato il pensiero di
Marx, è l'autentico marxista, e
la Rivoluzione Russa, più che
l'apparizione del Manifesto o del
Capitale, è l'avvenimento
filosofico per eccellenza.
c) - ...si propone la conquista
del mondo.
Il marxista e l'uomo che lotta
per una verità (anche se di tipo
tutto particolare): è una
verità che ha caratteri di
universalità. Non una verità,
metafisica, ma la
"verità" che nasce
dalla storia: il marxista non è
mosso da volontà di potenza, ma
da una fede cieca nella storia.
Il mondo marcia verso il
comunismo, verso il fenomeno
universale e perpetuo della
società senza classi. Le
caratteristiche che il cristiano
attribuisce all'Al dì là
vengono attribuite a questo al
dì qua nella loro totalità.
Unica è la Storia, unica è
l'attività lavorativa mediante
la quale l'uomo si autotrasforma:
unica, dunque, dovrà essere
infine la società comunista,
vero contro-Impero mondiale da
cui nessun uomo dovrà restare
fuori.
La
strategia leninista
La preoccupazione di
fondo di Lenin è quella di fare
la Rivoluzione. E, per fare la
Rivoluzione, occorre rispettare
certe leggi naturali
ineliminabili. Una di queste
leggi dice che non sono le masse,
ma le minoranze a fare la storia.
Gli uomini non sono uguali,
esiste una gerarchia naturale,
sono i pochi a muovere i molti.
Il profeta dell'ugualitarismo
fare sua questa verità
squisitamente reazionaria...
cadendo così, secondo alcuni, in
un atteggiamento antimarxista o
"fascista": ma è stata
proprio questa conoscenza della
natura ad assicurare il successo
dell'azione rivoluzionaria di
Lenin. Lenin intuisce che le
società si fanno e si
distruggono a partire dagli
uomini: "c'è una massa di
individui, ma gli uomini
mancano" e "gli uomini
mancano perché non vi sono
dirigenti, non vi sono capi
politici, non vi sono
intellettuali capaci di
organizzare un lavoro vasto e
nello stesso tempo coordinato,
armonico che permetta
l'utilizzazione di qualunque
forza, anche della più
insignificante" (62).
Occorrono invece "uomini che
consacrino alla Rivoluzione non
solo le sere libere, ma tutta la
loro vita" (63).
- una "organizzazione degli
operai", "la più vasta
possibile e la meno clandestina
possibile" (64). Si tratta
di organizzazioni "molto
larghe": "non è nel
nostro interesse esigere che solo
i social-democratici (cioè, nel
linguaggio di Lenin, i marxisti
convinti possano appartenere a
queste associazioni... perché
ciò restringerebbe la nostra
influenza sulla massa" (65).
- una "organizzazione dei
rivoluzionari", formata da
"uomini la cui professione
sia l'azione rivoluzionaria"
che "necessariamente non
deve essere molto estesa e deve
essere quanto più clandestina
possibile" (66). Si
tratterà necessariamente di una
minoranza anche perché "e
molto più difficile impadronirsi
di una decina di teste forti che
non di un centinaio
d'imbecilli" (67); e di una
minoranza rigorosamente formata:
"per militanti del nostro
movimento il solo principio
organizzativo serio deve essere:
segreto rigoroso, scelta
minuziosa degli iscritti,
preparazione di rivoluzionari
professionali" (68). Come si
vede, si tratta di
un'organizzazione fondata su
criteri tutt'altro che
democratici o ugualitari: Lenin
afferma che "non è
possibile sostituirla con il
controllo democratico
generale" e che i
rivoluzionari "non hanno il
tempo di pensare a1le forme
esteriori della democrazia... ma
sentono molto fortemente la
propria responsabilità e sanno
inoltre per esperienza che, per
sbarazzarsi di un membro indegno,
un'organizzazione di veri
rivoluzionari non arretrerà
innanzi a nessun mezzo (69).
Attraverso questa duplice
struttura, sotto la guida segreta
ma ferrea del piccolo gruppo dei
rivoluzionari di professione, la
setta filosofica diviene partito,
che è parola etimologicamente
pertinente, quasi a indicare la
divisione dell'umanità in due
campi. E' un esercito speciale
che conduce una guerra ben più
totale della "guerra
totale", perché non è
circoscritta alle operazioni
militari, anche se il partito ha
una struttura tipicamente
militare. Questa rigorosa
organizzazione è considerata da
Lenin essenziale al successo
della Rivoluzione. Una dura
polemica è pertanto condotta
contro i socialisti democratici,
dall'altra contro gli
"estremisti" dei
gruppuscoli socialrivoluzionari.
Ai democratici, ai menscevichi,
ai "socialtraditori",
allo stesso Kautsky che si limita
ad una ortodossia formale nei
confronti di Marx, Lenin ricorda
che "una centralizzazione
assoluta e la più severa
disciplina del proletariato sono
condizioni essenziali per la
vittoria sulla borghesia"
(70). Occorre "un partito
temprato nella lotta":
"chi indebolisce, sia pure
di poco, la disciplina ferrea del
partito del proletariato
(soprattutto durante la dittatura
del proletariato) aiuta di fatto
la borghesia" (71). Ai
dottrinaristi di sinistra, ai
socialrivoluzionari, agli
anarchici, Lenin obietta che per
vincere occorre "combinare
le forme di lotta legali e
illegali, parlamentari ed
extraparlamentari" (72): "i
rivoluzionari che non sanno
combinare le forme illegali di
lotta con tutte le forme legali
sono pessimi rivoluzionari" (73).
I "bolscevichi di
sinistra" che rifiutano di
partecipare al "parlamento
reazionario" hanno forse
compreso i principi teorici ma
non la strategia del comunismo.
"Tutta la storia del
bolscevismo - risponde Lenin -
prima e dopo la rivoluzione di
ottobre è piena di casi di
destreggiamenti, di accordi, di
compromessi con altri partiti,
compresi i partiti borghesi.
Condurre la guerra per il
rovesciamento della borghesia
internazionale, guerra cento
volte più lunga, più difficile
e più complicata delle guerre
abituali fra gli Stati, e
rinunziare in anticipo a
destreggiarsi, a sfruttare i
contrasti di interessi (sia pure
temporanei) tra i propri nemici,
rinunziare agli accordi ed ai
compromessi con eventuali alleati
(sia pure temporanei, poco
sicuri, esitanti, condizionati)
non è cosa infinitamente
ridicola? Non è come se
nell'ardua scalata di un monte
ancora inesplorato e
inaccessibile si rinunciasse
preventivamente a fare talora
degli zig-zag, a ritornare
qualche volta sui propri passi, a
lasciare la direzione presa
all'inizio per tentare direzioni
diverse?" (74). Il
"partito di ferro'' è
indispensabile alla strategia
comunista, ma esso deve sempre
essere disponibile al compromesso
tattico. la "disciplina
ferrea del partito" e il
"destreggiarsi" sono
due aspetti inscindibili di
un'unica metodologia. Questa
metodologia, applicata ai paesi
occidentali e cristiani tramite
la riflessione di Gramsci, si
perfeziona proprio nei nostri
anni, con il programma di
compromesso culturale. Esso
consiste nella ricerca della
conquista dello Stato attraverso
la conquista della società,
mediante una lenta e accorta
penetrazione di tutte le sue
strutture: la scuola, le società
economiche, la magistratura, lo
stesso mondo cattolico sono
lentamente infiltrati
dall'interno. L'ala marciante
della Rivoluzione si serve così
della tecnica di trasbordo
ideologico e della complicità
dei moderati per acquistare sulla
società quella egemonia che,
sola, può garantirne il
successo. Per fare ciò occorre
un compromesso culturale, in cui
il mondo non-comunista, e in
particolare quello cattolico,
rinuncino alla difesa del proprio
modello di uomo e di società;
mentre il movimento comunista,
per parte sua, essendo una
ideologia della prassi, ed
essendo vincolato solo al
successo della Rivoluzione,
mantenga, al di là delle
concessioni verbali, il proprio
progetto egemonico.
La
crisi teoretica del marxismo
A) - Due posizioni
insuperabili.
Da una parte: Stalin e Trotzsky
Di fatto, l'esito
storico-politico del marxismo è
la contrapposizione di due
posizioni che si muovono a
vicenda critiche insuperabili: lo
stalinismo e il trozskismo.
Queste due posizioni hanno un
significato che va al di là
della polemica fra Stalin e
Trotsky (terminata con l'esilio
del secondo e il suo assassinio
in Messico nel 1940, preceduto
dallo sterminio dei trotzskisti
nei campi di concentramento
staliniani): esse possono essere
assunte come categorie,
considerate come due
atteggiamenti tipici all'interno
del comunismo. In Italia ad
esempio, con qualche differenza,
Togliatti gioca il ruolo di
Stalin, e Bordiga - il vecchio
capo del PCI espulso dal partito
- quello di Trotzsky, mentre
Gramsci, che pure era alla
ricerca di una filosofia che
permettesse di evitare sia lo
stalinismo che il trotzskismo,
messo nella necessità di
scegliere si orienta di fatto
verso lo stalinismo. Trotzsky
introduce il concetto di
"rivoluzione tradita",
in Russia non si è realizzato il
vero comunismo, perché Stalin ha
tradito la Rivoluzione. Con
Stalin la Rivoluzione ha assunto
e rafforzato le realtà e gli
istituti che avrebbe dovuto
negare: lo Stato, l'autorità, la
burocrazia, l'élite dirigente,
l'apparato poliziesco, ecc.
Soprattutto, la Rivoluzione si è
circoscritta a una sola nazione
("socialismo in un solo
paese") tradendo così il
concetto marxista di
"Rivoluzione
permanente" che avrebbe
postulato un tentativo immediato
di estendersi al mondo intero.
Stalin risponde: non esiste un
"comunismo ideale"; la
realizzazione sovietica, il
"socialismo in un solo
paese" è l'unico modo per
fare avanzare la Rivoluzione, e
le critiche Trotzsky
rappresentano una posizione
utopistica, idealista, che in
ultima analisi favorisce
l'avversario. Chi ha ragione?
Stalin o Trotzsky? Tutti e due.
Ha ragione Trotzsky: perché il
comunismo, come ogni Rivoluzione,
ha inevitabilmente esiti
totalitari. Ma ha ragione anche
Stalin: perché la Rivoluzione
non poteva riuscire che a
condizione di essere tradita,
tanto che l'iniziatore del
"tradimento" è stato
lo stesso Lenin. Egli, prima di
Stalin, ha dato allo Stato
sovietico i caratteri che
Trotzsky denunciava. Ma nella
stessa filosofia marx-leninista,
di cui Trotzsky sottolinea
l'importanza, erano insiti quegli
sviluppi che egli combatte. Non
esistono due comunismi: il
comunismo ideale, mai realizzato,
e il comunismo
"tradito" degli stati
socialisti; la costruzione
ideale, per la sua stessa
struttura, non può dare altro
esito, nella pratica, che lo
Stato totalitario e oppressivo di
cui l'Unione Sovietica è il
modello. Così, la
contrapposizione fra Stalin e
Trotzsky rimane insuperabile: e
l'irresolubile alternativa può
essere mascherata soltanto
degradando la filosofia a
ideologia, imponendo
autoritariamente una strada,
facendo dell'ideologia sovietica
quel "cumulo di
menzogne" sistematiche,
oppressive, che Solzenicyn
denuncia nel suo scritto
"Vivere senza
menzogna". Dall'altra: la
materia e la dialettica. Oltre e
sotto la prima contrapposizione
(storico-politica) ve ne è una
seconda (teoretica), altrettanto
insuperabile. Siamo abituati a
dare per scontato il passaggio da
Hegel a Marx: Marx avrebbe
"raddrizzato" Hegel -
il passaggio sarebbe
filosoficamente ineccepibile. Ma
lo è davvero? E' il materialismo
dialettico una filosofia
coerente? Può la materia essere
il soggetto della dialettica?
Certo: il marxismo è un tutto
inscindibile in cui il
materialismo e la dialettica non
possono essere separati. Ma se
unire questi due elementi è
arbitrario, allora il marxismo è
un falso filosofico: e il mettere
l'accento sull'uno o sull'altro
aspetto dovrà portare a uscire
dal marxismo. Di fatto,
storicamente il marxismo ha
sempre teso a una simile
decomposizione:
- sia in Russia: lotta fra
Bucharin (accusato di
materialismo positivista) e
Trotzsky (accusato di idealismo),
risolta in maniera autoritaria da
Stalin con l'eliminazione di
entrambi i contendenti;
- sia nella storia generale del
marxismo, dove il materialismo
meno la dialettica porta a quel
materialismo relativista che è
l'ideologia (almeno pratica)
della moderna "società dei
consumi", mentre la
dialettica meno il Materialismo
porta ad un ritorno alla
filosofia idealista, con un
processo che il prof. Del Noce ha
studiato in Gentile (la cui prima
opera importante era dedicata a
Marx). Anche qui, le critiche che
le due parti si muovono sono
ugualmente valide: perché è
vero che una pura "filosofia
della prassi" non può
tollerare un substrato
idealistico, mitico com'è la
dialettica, ma è anche vero che,
se tutto è movimento, il
movimento incessante della
dialettica finisce per
dissolvere, travolgere la
materia. Anche a livello
speculativo, dunque, siamo di
fronte ad una impasse
insuperabile, ad uno scacco del
marxismo. Al tentativo di
risolvere questa impasse si
dedicano le varie scuole
neo-marxiste occidentali, mentre
l'ortodossia regna nei paesi
socialisti. Si ricerca da parte
di queste scuole l'accordo fra i
postulati del materialismo
dialettico e la realtà naturale
e sociale, che resiste
caparbiamente alla popria
evoluzione. D'altra parte, il
progredire della Rivoluzione e la
degenerazione accelerata del
costume sembrerebbero quasi
scavalcare la filosofia
rivoluzionaria per eccellenza: ed
ecco dunque la necessità di
collegare il marxismo
all'esistenzialismo (Sartre e
Merleau-Ponty), allo
strutturalismo (Althusser), alle
varie forme di "filosofia
della liberazione" (Bloch e
Marcuse).
B) - Di fronte a questa crisi,
varieposizioni.
La crisi del marxismo è insieme
la crisi della società e della
cultura occidentale, che il
marxismo ha profondamente
segnato: e da essa dipende
'attuale situazione di
disorientamento generale, in cui
tutti viviamo. Di fronte a questa
crisi si possono assumere vari
atteggiamenti:
- la dissoluzione
Il comunismo è rivoluzionario,
ma la Rivoluzione non si
esaurisce nel comunismo. Portando
avanti il processo
rivoluzionario, si può arrivare
a una presentazione della
Rivoluzione come pura
dissoluzione che vada oltre lo
stesso marxismo: il surrealismo,
la rivoluzione sessuale, la
riscoperta di Sade, la IV
Rivoluzione.
- la disperazione
Se si crede che il marxismo abbia
esaurito il suo vigore ma che,
insieme, ciò che il marxismo ha
negato (la filosofia dell'essere,
i valori tradizionali), sia
negato per sempre e non
recuperabile, l'atteggiamento
naturale sarà la disperazione
(ad esempio, Horkheimer).
Esistono anche travestimenti
della disperazione: l'utopia
"cosciente di essere
tale", la "parodia
della rivoluzione" in
Marcuse, il gioco e la burla
generalizzati dei movimenti
underground, l'esaltazione della
droga come evasione dal mondo,
ecc.
- il "progressismo"
cristiano
C'è chi crede che il marxismo
possa essere "salvato"
giustapponendovi i valori
religiosi: è il
"progressismo"
cristiano. Ma la sua posizione
deriva da una incomprensione del
carattere totale del marxismo: e
del resto i suoi tentativi non
hanno mai "convertito"
il marxismo al Cristianesimo, ma
piuttosto molti cristiani al
marxismo. Si dice che il filosofo
marxista Ernst Bloch, pur
rimanendo ateo, abbia lanciato un
"ponte" fra marxismo e
Cristianesimo. E' vero: ma questo
ponte è fatto per essere
attraversato in un senso solo,
sempre da cristiani che passano
al marxismo, mai da marxisti che
passano al Cristianesimo.
- la Tradizione
Un'ultima posizione consiste nel
rifiutare il presupposto generale
del marxismo, che preesiste a
Marx: il primato del divenire, la
negazione della Tradizione, la
Rivoluzione. Esiste un seme,
questo seme si è sviluppato e ne
è nato un albero di errore e di
morte. Piuttosto che cercare di
salvare l'albero, non sarà forse
opportuno rifiutare il seme? Si
tratta allora, di recuperare
"per diametrum" tutto
ciò che fin dall'inizio il
marxismo e i suoi precedenti
storici avevano negato: il
primato dell'essere, la
Tradizione. E' il contrario della
Rivoluzione: è la
Controrivoluzione. Per precisarne
i contenuti, occorre esaminare
ulteriormente il concetto di
Rivoluzione.
Conclusione
Il marxismo, si è
detto, nega il primato
dell'essere e nega, in
particolare:
1°) - Il principio di identità
e di non-contraddizione (A è
uguale ad A ed è diverso da
non-A; ciò che è è, ciò che
non è non è), che deriva
immediatamente dal primato
dell'essere sul divenire. Già
per Hegel, il maestro di Marx, la
verità delle cose non è nel
loro essere, ma nel loro
divenire, nel movimento, cioè
nella dialettica: la verità
della tesi è nella sua
negazione, nell'antitesi, che
permette il passaggio alla
sintesi; di qui la formula:
"ciò che è non è, e ciò
che non è è", che esprime
il primato del divenire e la
negazione del principio di
non-contraddizione. "Et
super hoc principio - dice San
Tommaso - omnia alia
fundantur" (su questo
principio si fondano tutte le
cose).
2°) - l'esistenza del peccato
originale. Se vi fosse il peccato
originale non sarebbe possibile
la salvezza totale in terra, la
società perfetta. Ma l'essere
delle cose - come si è visto -
è il loro non essere. L'essere
della vita è la negazione
dialettica della vita: la morte.
La finitezza dell'uomo (che è
evidente: gli uomini sono finiti,
muoiono) non è un limite
indebito causato da qualcosa che
segnerà per sempre gli uomini,
ma è anzi una condizione
intrinseca positiva, una antitesi
che permette il processo
dialettico. Ora, il principio di
non contraddizione (il primato
dell'essere) e l'esistenza del
peccato originale sono il
fondamento dell'idea di
Tradizione. Il primato
dell'essere spiega l'esistenza di
verità eterne e metastoriche,
grazie alle quali si può vivere
l'eterno nel tempo e che, in
quanto metastoriche - non in
balìa della storia, non dissolte
dalla storia - possono essere
consegnate (traditae) di
generazione in generazione;
mentre il peccato originale
spiega che possono oscurarsi e
possono essere dimenticate e
perfino negate dagli uomini. Il
marxismo, quindi, è l'antitesi
più radicale dell'idea di
Tradizione. Il primato
dell'essere, poi, fonda la
stabilità della natura e delle
sue leggi: leggi permanenti,
oggettive, universali, valide
cioè sempre e per tutti gli
uomini, cosicché si può parlare
di legge naturale, come legge
morale che la ragione può
leggere nella umana. Legge
naturale che è fondamento di
ogni legge positiva, anche se
nessun ordinamento giuridico
positivo potrà mai realizzarla
nella sua pienezza e perfezione.
La negazione del primato
dell'essere è la negazione di
Dio e della verità metafisica,
la negazione della legge morale,
del diritto naturale e quindi la
negazione dei primi istituti
naturali, derivabili cioè dalla
stessa natura dell'uomo e dalle
sue inclinazioni, i quali sono la
famiglia, la proprietà, lo
Stato: istituti di natura e non
di storia e come tali
ineliminabili, eliminabili solo
attraverso il terrore e la
repressione più spietata. Ma se
l'autore della natura è Dio, e
non l'uomo, la negazione degli
istituti naturali è anzitutto la
negazione di Chi ha fatto le
creature, la negazione del
Creatore nella negazione del
creato, il rifiuto di Dio nel
rifiuto della famiglia e della
proprietà. Questa è l'essenza
rivoluzionaria del comunismo,
caricando il termine Rivoluzione,
considerato, al di là del suo
significato di sommovimento
episodico, come categoria
filosofico-politica, di una
valenza metafisica, e
intendendolo nella sua realtà
più profonda. Che cos'è la
Rivoluzione? E' la negazione
dell'ordine naturale e cristiano
e cioè di una società e di un
mondo fondati sulla legge
naturale e rivelata, la negazione
in ultima analisi dell'Autore di
questa legge, cioè di Dio. In
questo senso si può stabilire
un'essenza metafisica della
Rivoluzione, che è anche
l'essenza del comunismo, senza
con questo dire che il comunismo
esaurisca la Rivoluzione. Se
unica infatti è la verità,
unica è l'essenza del rifiuto di
essa - il "non serviam"
(di Lucifero) - la
"liberazione" cioè da
ogni dipendenza politica e
spirituale, ma infinite sono le
possibili manifestazioni di
questo rifiuto. La Rivoluzione è
unica nell'essenza, e molteplice
nelle manifestazioni:
manifestazioni che, storicamente
diverse ed eterogenee, sono
accomunate dall'unicità
dell'essenza e del fine. Solo in
questa prospettiva si potrà poi
intendere in che modo realmente
la Riforma Protestante prefiguri
la Rivoluzione Francese e questa
prefiguri a sua volta, la
Rivoluzione Bolscevica:
avvenimenti che si
presenterebbero altrimenti come
blocchi storici a sé stanti,
quasi inesplicabili compartimenti
stagni. La Rivoluzione invece ha
una sua storia, la storia di una
marcia verso società sempre meno
naturali, sempre meno fondate sul
primato dell'essere, sempre più
palesi nella negazione di Dio. La
Rivoluzione è un blocco, e
combatterne solo una parte
significa essere sopraffatti
dalle altre. E' necessario
conoscere il comunismo, l'ala
marciante della Rivoluzione, ma
è anche necessario imparare a
identificare le altre componenti
del blocco rivoluzionario che,
anche se si presentano come
diverse e perfino avversarie del
comunismo, in realtà ne
facilitano l'avvento. Così, è
necessario anche comprendere che
la Rivoluzione è un blocco non
solo politico o ideologico, ma si
sviluppa a partire da un insieme
di tendenze, di atteggiamenti, di
modi di vivere diffusi anche
negli ambienti migliori, e da cui
il comunismo nasce e si alimenta.
Il comunismo non è solo un
partito politico o una setta
filosofica: il comunismo è un
vizio intellettuale e morale di
cui gran parte degli uomini
moderni (e non soltanto i
comunisti dichiarati) finiscono
per essere preda. Un autentico
anticomunismo dovrà colpire il
bersaglio nemico nella sua stessa
essenza, nel suo cuore. Per
colpire il male alle radici per
sconfiggere il comunismo va
colpita dunque al cuore la
Rivoluzione nella sua essenza,
prima ancora che nelle sue
manifestazioni. La Rivoluzione
appare come il drago a più
teste, che produce continuamente
nuovi mostri. Il compito
dell'anticomunista è dunque
quello di trasformarsi in
controrivoluzionario, in
combattente cioè che non si
limiti a tagliare teste che
continuano fatalmente a
riprodursi, ma che colpisca il
drago al cuore, e la chiave per
la vittoria è la completa
conversione a Gesù Cristo Nostro
Signore.
Note
(1) - Tesi politiche del
IX Congresso del PCI, ed.
Riuniti, Roma 1960.
(2) - G. STALIN, Il materialismo
dialettico e il materialismo
storico, in: Questioni del
Leninismo, ed. it., Mosca 1945,
pag. 180.
(3) - H. LEFEBVRE, Il marxismo,
ed. it. Garzanti, Milano 1954,
pag. 19.
(4) - TREVISANI, Piccola
Enciclopedia del socialismo e
comunismo, Milano, Calendario del
popolo, 1958, pag. 32.
(5) - LENIN, Tre fonti e tre
parti integranti del marxismo,
in: Opere scelte, ed. Riuniti
--Progress, Roma - Mosca, s.d.,
vol. I, p. 42-44.
(6) - LENIN, Materialismo ed
empirio-criticismo, in: Opere
scelte, cit. vol. III, pag. 371.
(7) - IDEM, cit. pag. 116.
(8) - IDEM, pag. 141.
(9) - ENGELS, Antiduring, in Marx
- Engels, Opere complete, vol.
XXV, Roma 1974, pag.48.
(10) - ENGELS, Ludwig Feuerbach e
il punto d'approdo della
filosofia classica tedesca,
Rinascita, Roma 1950,pag. 18.
(11) - MARX, I^ tesi su
Feuerbach, op. cit., pag. 81.
(12) - ENGELS, Antiduhring, cit.,
pag. 135.
(13) - ENGELS, Dialettica della
natura, in: Marx-Engels, Opere
complete, vol. cit. pag. 365.
(14) - IDEM, pag. 529.
(15) - M. ALOISI, prefazione a S.
Bernal e altri, L'origine della
vita, Feltrinelli, Milano 1962,
pag. IX.
(16) - H. LEFEBVRE, Il marxismo,
cit., pag. 37.
(17) - ENGELS, Dialettica della
natura,
(18) - MARX-ENGELS, L'ideologia
tedesca, ed. Riuniti, Roma 1958,
pag. 17.
(19) - MARX, VI Tesi su
Feuerbach,in: ENGELS, L.
Feuerbach, cit. pag. 84.
(20) - MARX, Manoscritti
economico-filosofici del 1844,
in: Opere filosofiche giovanili,
ed. Riuniti, Roma 1963, pag. 203.
(21) - MARX, Critica al Programma
di Gotha, in: Marx-Engels, Opere
scelte, ed, Riuniti, Roma 1966,
pag. 962.
(22) - LENIN, in: Les principes
du marxisme-leninisme, antologie,
Progress, Mosca 1961, pagg.
875-876.
(23) - STALIN, Materialismo
dialettico e materialismo
storico, Rinascita Roma 1954,
pag. 9.
(24) - MARX-ENGELS, L'ideologia
tedesca, ed. Riuniti, Roma 1958,
pag. 70.
(25) - H. LEFEBRE, Il marxismo,
cit. pag. 56.
(26) - MARX, Per la critica
dell'economia politica,
prefazione, ed. Riuniti, Roma
1972, pag. 15.
(27) - STALIN, Materialismo
dialettico e materialismo
storico, cit. pag. 20.
(28) - MARX-ENGELS, Manifesto del
partito comunista, ed. Riuniti,
Roma 1974, pag. 55.
(29) - MARX-ENGELS, Manifesto,
cit. pag. 56.
(30) - ENGELS, Prefazione
all'edizione tedesca del
Manifesto, in: Manifesto, ed.
cit., pagg. 39-40.
(31) - LENIN, Stato e
Rivoluzione, in: Opere scelte,
vol. II, Progress, Mosca 1947,
pag. 168.
(32) - LENIN, Stato e
Rivoluzione, in opere scelte,
vol. II, Progress, Mosca 1947,
pag. 195.
(33) - MARX, Per la critica della
filosofia del diritto di Hegel
Introduzione, in: Marx-Engels,
Opere scelte ed. Riuniti, Roma
1966, pag. 58.
(34) - LENIN, Socialismo e
Religione, in: Opere scelte,
cit.,vol. I, pag. 674.
(35) - IDEM, La religione
nell'URSS, Feltrinelli, Milano
1961, pag. 3.
(36) - Lenin, Socialismo e
Religione, cit. pag. 677.
(37) - MARX, Per la critica della
filosofia del diritto di Hegel,
cit. pag. 58.
(38) - IDEM, pag. 65.
(39) - LENIN, Socialismo e
Religione, cit. pag. 678.
(40) - MARX, Per la critica della
filosofia del diritto di Hegel,
cit. introduzione, passim.
(41) - MARX-ENGELS, L'ideologia
tedesca, ed. Riuniti, Roma 1967,
pag. 53.
(42) - MARX, Il capitale, ed.
Riuniti, vol. I, Roma 1967, pag.
536.
(43) - ENGELS, L'origine della
famiglia, della proprietà
privata e dello Stato, tr. it.
Newton Compton, Roma 1974.
(44) - ENGELS, Il catechismo dei
comunisti, premesso all'ed. del
Manifesto, Edizioni del Maquis,
Milano 1971, pag. 31.
(45) - ENGELS, L'origine della
famiglia, della proprietà
privata e dello Stato, ed.
Riuniti, Roma 1970, pag. 103.
(46) - ENGELS, Il catechismo dei
comunisti, cit. pag. 19.
(47) - MARX - ENGELS, Manifesto
del partito comunista, ed.
Riuniti, Roma 1971, pag., 78.
(48) - ENGELS. Il catechismo dei
comunisti, cit. pag. 19.
(49) - IDEM, pag. 23.
(50) - IDEM, pagg. 24-26.
(51) - ARTHUR ROSENBERG,
ex-membro del comitato Esecutivo
della Terza internazionale,
Storia del Bolscevismo, ed, it.
Sansoni, Firenze 1969, pag. 3.
(52) - H. LEFEBVRE, Il marxismo,
cit. pag. 49.
(53) - LIU SCIAO-CHI, Rapporto
del 14 giugno 1950 della
segreteria generale del Partito
Comunista Cinese.
(54) - LENIN - K. MARX in: Opere
scelte, cit. vol. I, pag. 31.
(51) - ARTHUR ROSENBERG,
ex-membro del comitato Esecutivo
della Terza internazionale,
Storia del Bolscevismo, ed, it.
Sansoni, Firenze 1969, pag. 3.
(52) - H. LEFEBVRE, Il marxismo,
cit. pag. 49.
(53) - LIU SCIAO-CHI, Rapporto
del 14 giugno 1950 della
segreteria generale del Partito
Comunista Cinese.
(54) - LENIN - K. MARX in: Opere
scelte, cit. vol. I, pag. 31.
(55) - MARX, La dominazione
britannica in India, in:
Marx-Engels, India-Cina-Russia,
il Saggiatore, Milano 1970, pagg.
76-77.
(56) - MARX, Discorso sulla
questione del libero scambio,
cit. in India-Cina-Russia, cit.
pag. 123.
(57) - STALIN, Les principes du
Léninisme, Editions Sociales,
Paris 1947, pag. 100.
(58) - LIU SCIAO-CHI, Pout etre
un bon communiste, Editions
sociales Paris 1955 pag. 49.
(59) - ENGELS, Antiduhring, ed.
it. Cit. pag. 115.
(60) - H. LEFEBVRE, Il marxismo,
cit. pag. 90.
(61) - F. BORKENAU, Storia del
comunismo europeo Neri Pozza,
Vicenza 1963, pag. 21.
(62) - LENIN, Che fare?, in:
Opere scelte, Progress, Mosca
1947, vol. I, pag. 224.
(63) - LENIN, I compiti urgenti
del nostro movimento, in: Opere,
vol. IV, ed. Riuniti, Roma 1957,
pag. 406.
(64) - LENIN, Che fare?, cit.
pag. 213.
(65) - LENIN, Che fare?, cit.
pagg. 214-215.
(66) - IDEM, pagg. 213-214.
(67) - IDEM, pag. 221.
(68) - IDEM, pag. 233.
(69) - IDEM, pag. 233.
(70) - LENIN, L'estremismo
malattia infantile del comunismo,
ed. Riuniti, Roma 1974, pag. 10.
(71) - IDEM, pagg. 58-59.
(72) - IDEM, pag. 38.
(73) - IDEM, pag. 155 - la
sottolineatura è dello stesso
Lenin.
(74) - IDEM, pag. 105.