LA PAROLA DI DIO
Dal Vangelo secondo Matteo:
«In quel tempo, Gesù raccontò alla folla dei giudei e ai capi dei sacerdoti
questa parabola: «Un padre di famiglia piantò una vigna, la circondò con una
siepe, scavò in essa un frantoio e vi edificò una torre. Chiamati a lavorare
dei vignaioli, partì per un paese lontano. Quando venne la stagione dei frutti,
mandò i suoi servi dai coloni per esigere la parte che gli spettava. Ma i
contadini, presi i servi, alcuni li percossero, altri li uccisero e altri li
lapidarono. Il padrone mandò nuovamente dei servi più numerosi di prima, ma i
vignaioli li trattarono allo stesso modo. Alla fine, inviò ad essi il figlio
suo, dicendo: «Avranno almeno rispetto per mio figlio». Ma quelli, visto il
figlio, dissero tra loro: «Ecco l'erede; uccidiamolo, e i suoi beni li
erediteremo noi». Ed impadronitisi di lui, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo
uccisero. Ora, che cosa farà, secondo voi, al suo ritorno il padrone della
vigna a quei vignaioli»? «Farà perire - gli risposero - senza pietà quei
malvagi e affiderà la vigna ad altri lavoratori i quali gli daranno a
suo tempo la parte di raccolto che gli spetta». Gesù riprese: «Non avete mai
letto la Scrittura: «La pietra che i
costruttori rifiutarono di adoperare, è diventata la pietra angolare. Dal Signore è stata fatta questa cosa, ed è
mirabile ai nostri occhi». è
per questo che io vi dico: voi non farete più parte del regno di Dio, il quale
invece sarà dato ad un popolo che saprà produrre frutti e chi cadrà su
questa pietra, andrà in pezzi e se la pietra cadrà su qualcuno, lo stritolerà».
All'udire questa ed altre parabole, i capi dei sacerdoti ed i farisei compresero
che Gesù parlava di loro, e pur cercando di impadronirsi di lui, avevano
paura della folla che lo considerava profeta».
La parabola dei vignaioli
perfidi, ovvero
la colpevolezza degli ebrei
nella morte del
Signore
La parabola dei vignaioli infedeli raccontata dal
Signore, con la spiegazione che Egli Stesso ne dà alla fine, mette in luce fino
all’evidenza, più d’ogni altro passo evangelico, la diretta responsabilità che
gli ebrei, del passato e del presente, hanno nella Passione e Morte di Gesù
Cristo, responsabilità che viene incredibilmente respinta non solo dagli ebrei,
i quali non vogliono apparire autori di un sì grave delitto, ma perfino dagli
stessi cattolici ecumenisti, disposti a sacrificare la verità ai fini di una
falsa amicizia e di una falsa pace. Ai giudei, rappresentati dai perfidi
vignaioli che uccidono il figlio del loro padrone, il Signore dice senza
mezzi termini che sarà loro tolto il Regno di Dio a causa della loro malvagità
e dato ai pagani, che lo faranno fruttificare. I fatti della storia hanno
pienamente confermato le parole profetiche del Signore. E pur tuttavia, il
popolo ebreo dei secoli successivi non ha tratto alcun profitto né dalle parole
del Signore, né dai fatti susseguenti, che le hanno drammaticamente confermate.
Tuttavia, quello che è più sconcertante
ed incredibile (se non fosse vero), è che oggi, nello stesso mondo cattolico ed
in seno alla stessa Chiesa, questa pagina del Vangelo, come tutte le altre
analoghe, è stata dimenticata, anzi cancellata ed abolita in nome della carità
(falsa) verso gli ebrei. Se nel passato ancora recente siamo stati
spettatori di uno spietato e criminale antisemitismo, oggi ci tocca di essere
spettatori di uno spasimante e demenziale filosemitismo, che non si limita a
deplorare la ferocia persecutoria dei nazisti, che non si accontenta di
togliere dalla liturgia o dai documenti ufficiali le espressioni di «perfidi
giudei», o di popolo deicida, ma che arriva a negare del tutto che gli
ebrei siano stati e siano tali. Eh no! Talvolta, certamente, in particolari
circostanze la verità si può e si deve tacere; mai
però è lecito negarla, o capovolgerla, facendo credere che sia buono ciò che è
cattivo e cattivo ciò che è buono, con danno di tutti, anche degli stessi
ebrei, verso i quali ci si illude di usare la carità. Perciò, se le verità
dev'essere detta rispettando le regole della carità, senza lasciarsi
trasportare da passionalità o da zelo esagerato ed incomposto, anche la carità,
tuttavia, dev'essere praticata senza ledere la verità, specialmente la verità
rivelata e di fede. Altrimenti, sarebbe una carità puramente naturale, che non
tiene in nessun conto le esigenze dello spirito ai fini della salvezza eterna, la
carità falsa della Massoneria e della Rivoluzione Francese, adottata
dall’ecumenismo neomodernista dei cattolici progressisti, ma nient'affatto
carità cristiana. Così si afferma, da parte di questi cattolici, i quali
presumono e si atteggiano ad essere più misericordiosi di Dio stesso, che gli
ebrei non sono colpevoli della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo,
perché colpevoli, dicono, siamo tutti noi peccatori. Anzi, non ne sarebbero
nemmeno gli autori, mentre lo sarebbero stati (materialmente) i romani. Se
anche ne fossero gli autori, dicono ancora, non sarebbero deicidi, per la
semplice ragione che Dio non lo si può uccidere. Tanto meno, si dice,
sono colpevoli gli ebrei di oggi, che allora non c'erano; la colpa dei padri
non si trasmette ai figli. Si considera, pertanto, il popolo ebreo ancora
popolo eletto e non più reietto, in piena contraddizione e rinnegamento del
passo evangelico che abbiamo or ora letto (per non citarne che uno tra i
tanti); gli ebrei sono diventati nostri «fratelli maggiori». No
davvero!! Essi sono nostri fratelli in generale, in quanto figli di Dio come
tutti gli uomini, anche infedeli, anche malvagi, anche nemici...; se proprio si
vuol fare una graduatoria di fratellanza, diciamo che essi sono i nostri
fratelli infimi!! Si va a pregare nelle loro sinagoghe; si riconosce la
nazione ebraica come Stato sovrano, dimenticando la profezia, che non si
smentisce, secondo cui ogni sforzo di riunificazione
di questo popolo ingrato e infedele sarà vanificato e la nazione è destinata ad
essere nuovamente distrutta ed il popolo disperso. Noi non accettiamo e non ci
conformiamo a tale atteggiamento ecumenista, che ci fa compiangere e deridere
persino dai musulmani e forse anche dagli stessi ebrei. Respingiamo, perciò,
decisamente tutte le erronee affermazioni dei progressisti e teniamo per vero
quello che è contenuto nel Vangelo e nella Tradizione Apostolica ed è sempre
stato creduto ed insegnato dal perenne Magistero della Chiesa, quando non
c’erano ad offuscarlo i pestilenziali fumi del neomodernismo. L’uccisione
di Cristo fu un vero deicidio. I sempliciotti ed i superficiali sostengono
che l’uccisione di Cristo non può essere un deicidio, in quanto Dio non può
essere ucciso da nessuno. Invece fu un vero deicidio, una vera uccisione di
Dio. Certamente, tutti capiscono che Dio, come Ente supremo, purissimo
spirito, infinito ed eterno, non può morire e non può essere ucciso. Ma nella
Persona di Cristo, sì, ha potuto essere ucciso. Il Verbo, seconda Persona della
SS.ma Trinità, incarnandosi è divenuto vero Uomo, restando, però, vero Dio.
Assumendo la natura umana, non ha lasciato la natura divina. Le due nature,
umana e divina, sono inscindibilmente e ipostaticamente unite nell’unica
Persona di Cristo. Cristo è stato concepito e generato nella natura umana e
nella natura divina, dalla Vergine
SS.ma, che pertanto è veramente Madre di Dio, benché Dio,
come Ente supremo, infinito ed eterno, non può avere una madre che lo abbia generato.
Nella Persona di Cristo invece, sì, Dio ha potuto essere ed è stato generato da
una Sua creatura, la SS.ma Vergine. Ora, Cristo, come è stato generato vero
Dio, così come vero Dio è stato ucciso. E, come Maria è giustamente chiamata «Deipara»,
cioè, «Genitrice di Dio», così è giusto ed è vero che gli uccisori di
Cristo siano chiamati deicidi e non soltanto omicidi. A quei cattolici, i
quali per piacere agli ebrei negano la realtà del deicidio, ricordiamo che Nestorio
(381-451) è stato condannato come eretico e scomunicato nel Concilio di Efeso
(431) perché, pretendendo di separare le due nature, umana e divina del Verbo,
affermava essere Maria Madre di Cristo, ma non Madre di Dio. Similmente, chi afferma che Cristo è stato ucciso
come uomo, ma non come Dio, pretende, come Nestorio, di separare le due nature
di Cristo, ed egli pure è eretico ed incorre nella sua stessa condanna. Oggi che la religione di Dio è stata
sostituita dalla religione dell’uomo, non si da alcun peso a queste
disquisizioni teologiche, preferendo occuparsi della pace e del benessere
terreno, ma «veritas Domini manet in æternum».
Gli ebrei
e non altri sono colpevoli
Debbo premettere che il discorso non vuole essere
qui anti-ebraico, ma solo anti-falsità. Non lo si farebbe neppure, se non se ne
fosse provocati sia dallo spasimante filoebraismo degli ecumenisti - i quali
hanno falsificato la realtà dei fatti - sia dagli stessi ebrei che, volendo
sfruttare al massimo in loro favore le persecuzioni subite durante l’ultima
grande guerra, in tutte le loro manifestazioni propagandistiche usano con
enfasi lo slogan «PER NON DIMENTICARE» e non dimenticare tutto quello
che essi hanno sofferto sotto il nazismo. Giusto. Naturale; ma perché,
allora, si deve dimenticare tutto quello che essi hanno fatto soffrire ai
cristiani in un passato lontano e anche meno lontano? Perché non ricordare
le loro colpe, quando essi vogliono così puntigliosamente ricordare le colpe,
vere o presunte, degli altri? Gli ecumenisti ad oltranza, dunque, in difesa dei
loro «fratelli maggiori», sostengono che non gli ebrei sono colpevoli
della dolorosa Passione e Morte del Signore, bensì tutti noi con i nostri
peccati. Questa affermazione, che talora si trova anche nei nostri libri di devozione,
bisogna intenderla nel senso giusto. Per comprendere bene le responsabilità e
le colpe nella Passione e Morte di Gesù Cristo, occorre fare alcune
precisazioni e chiarimenti. In un fatto doloroso e, per chi lo compie, anche
delittuoso, bisogna distinguere l’«autore» del fatto stesso dalla «causa»
che lo ha determinato. L’autore responsabile e,
perciò, direttamente colpevole del fatto, è colui che lo ha voluto con piena
avvertenza e deliberato consenso, lo ha preparato e si è adoperato per
realizzarlo. Lo ha, infine, attuato, o ha indotto altri ad attuarlo. L’autore
così inteso, è pienamente colpevole del delitto, anche se alla sua attuazione
hanno concorso altri, da lui indotti a farlo; nel caso in questione, Pilato e i
soldati romani. Gli autori secondari e gli esecutori materiali del delitto
saranno più o meno colpevoli a seconda della malizia con cui hanno agito, che
solo in certi casi è superiore a quella del mandante. I diretti,
principali e veri autori della Passione e Morte del Signore sono i giudei.
Dapprima solo i principi dei sacerdoti e i farisei, poi tutti quelli che essi
hanno convinto e trascinato al deicidio. Anche essi ne sono i veri autori,
perché essi pure lo hanno voluto, aderendo con tutto il cuore all’invito dei
capi ed hanno forsennatamente gridato: «Sia crocifisso! Sia crocifisso»!
Pilato ha avuto meno colpa di loro. Una colpa molto grande anche lui l'ha
avuta, perché aveva autorità e potere di impedire la condanna di Chi aveva
riconosciuto innocente e giusto. Non per odio lo fece, ma per viltà e per
questo Gesù gli disse: «Chi mi ha consegnato nelle tue mani è più colpevole
di te». I soldati romani, poi, che hanno eseguito materialmente il
supplizio del Salvatore, hanno colpa solo della crudeltà che essi vi hanno
spontaneamente aggiunto, per esempio, della coronazione di spine e delle altre
sevizie dopo la flagellazione. Del resto, bisogna notare pure che essi erano
pagani e rozzi, abituati ad eseguire gli ordini dei superiori, anche i più
disumani, con disinvoltura e come cosa normale.
L’avvertenza del male ed il consenso della volontà in essi era ridotto a nulla.
Perciò, nulla, o quasi nulla in loro la colpa, da non confrontare con l’odio
dei farisei e della folla imbestialita. Essere causa di un fatto doloroso non
significa necessariamente esserne anche l’autore. L’autore ne è sempre anche
causa, ma non sempre chi ne è causa ne è anche autore. L’essere autore del male
implica una libera volontà che deliberatamente sceglie e risolve di compierlo,
per cui ne ha colpa; esserne, invece, soltanto causa, significa determinare il
succedersi di un fatto, talora anche senza direttamente volerlo. Ciò vale per
il male, ma vale anche per il bene che si può fare. L’autore ha sempre colpa del male e sempre merito del bene; la
causa, invece, non sempre. Se consultiamo un vocabolario, notiamo che i
vocaboli «autore» e «causa» quasi si equivalgono. Ma nel campo della morale,
come si vede, i due termini hanno un valore molto diverso tra loro. Noi,
con i nostri peccati, siamo stati la causa della Passione e Morte del
Signore.
Causa, ma
non autori
Causa certamente sì. Il profeta
Isaia lo vede da lontano e lo annuncia come presente: «Egli è stato piagato
per le nostre iniquità; è stato trafitto per le nostre scelleratezze».
Anzi, non solo abbiamo causato la Passione e la Morte del Signore, ma la Sua
stessa Incarnazione e tutta la Sua opera di Redenzione. Infatti, diciamo nel
Credo: «Propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis
et incarnatus est» («Per noi uomini e per la nostra salvezza è
disceso dal Cielo e si è fatto Uomo»). Noi siamo causa della Passione e Morte
del Signore in quanto, con i nostri peccati, ci siamo posti nella necessità di
essere redenti e non potevamo essere redenti altro che col Sangue Preziosissimo
di Nostro Signore Gesù Cristo, sparso nella Sua Passione e Morte di Croce. In
realtà, la vera causa della Passione e Morte del Signore, come di tutta la Sua
opera di Redenzione, è stato il Suo amore misericordioso verso di noi, che lo
ha spinto a sacrificarsi per la nostra salvezza. C’è, dunque, una bella
differenza tra gli ebrei, che sono autori e causa diretta della Morte del
Signore e i peccatori generici, che ne sono
soltanto causa, causa indiretta, avendo provocato l’amore infinito di Dio a
mandare il Suo Figlio per riparare i nostri peccati. Cosa che avrebbe fatto
ugualmente anche se, per ipotesi, noi non avessimo commesso alcun peccato,
perché era sufficiente il peccato di Adamo a rendere necessaria la Redenzione.
Purtroppo, ci sono anche i nostri peccati a rendere maggiore il prezzo della
Redenzione che il nostro Salvatore ha voluto spontaneamente pagare. Ma, mentre
i giudei sono colpevoli della uccisione di Cristo, da essi direttamente voluta,
ogni peccatore è colpevole e deve rispondere solo dei propri peccati. è vero che i libri di pietà, quasi
annullando la colpa degli ebrei, ci fanno accusare di essere stati noi, con i
nostri peccati, ad aprire quelle piaghe, a produrre quelle battiture, a
piantare quelle spine, quei chiodi, a caricare della Croce le spalle di Gesù, e
così via...; ma rimane sempre vero che essere stati causa di quei dolori non
è la stessa cosa che esserne stati gli autori. Certo che dobbiamo dolerci e
piangere perché i nostri peccati, o meglio, perché il perdono dei nostri
peccati è costato tanto dolore al Divin Salvatore. Certo che dovremo rispondere
di quel Sangue Preziosissimo, se lo avremo fatto spargere inutilmente, senza
trarne alcun profitto; ma rimane sempre vero che colpevoli del deicidio sono
i giudei e non noi. Altrimenti, dovremmo sentirci colpevoli anche di tutti
i dolori sofferti dalle anime generose che si sono offerte vittime per la
salvezza dei peccatori. Noi siamo riconoscenti verso queste anime
corredentrici, come siamo riconoscenti verso il Redentore, ma possiamo legittimamente
non sentircene colpevoli. Se i loro dolori sono stati determinati dalla
malvagità umana, colpevoli ne sono quelli che li hanno fatto soffrire, non noi,
nemmeno i più grandi peccatori della terra. Anzi, saremmo colpevoli di tutte le
sofferenze dei giusti, degl’innocenti, morti o feriti
nelle calamità d’ogni genere, specialmente delle guerre, avendo detto a Fatima
la Madonna che le guerre sono quasi sempre castighi per i peccati del mondo.
Sì, causa delle guerre ne sono i peccatori, ma autori colpevoli ne sono coloro
che le preparano, che le provocano e che le scatenano. Credo che nessun
peccatore sia tenuto a confessare di avere provocato e scatenato la guerra, se
non coloro che l’hanno voluta e ne sono gli autori. Questo, del resto, è
riconosciuto da tutti anche, loro malgrado, dagli stessi ebrei e dai loro
«fratelli minori», i cattolici progressisti (se per questi gli
ebrei sono i «fratelli maggiori, è ovvio che per gli ebrei i cattolici
progressisti sono «fratelli minori»). Essi accusano il nazismo e, col nazismo,
il fascismo che lo ha affiancato, delle persecuzioni loro inflitte durante
l’ultima grande guerra. Ma, se i giudei non sono colpevoli della persecuzione e
dell'uccisione del Messia, perché i nazisti e i fascisti dovrebbero essere
colpevoli della persecuzione e del massacro degli ebrei? Se colpevoli della
Passione e Morte del Signore sono i peccatori di questo mondo, perché della
persecuzione degli ebrei non vengono incolpati i peccati del mondo e, in modo
particolare, i peccati loro e dei loro padri? Sono i soliti due pesi e due
misure. Sono le contraddizioni di coloro che volgono i fatti della storia
secondo il proprio tornaconto; riguardo all’uccisione del Messia, fa comodo
incolpare i peccatori di questo mondo, non gli ebrei deicidi; le cause, non
gli autori. Riguardo alle persecuzioni antisemite, fa comodo, invece,
incolpare gli autori, non le cause, i persecutori nazisti e fascisti,
estendendo magari con una perfida malizia la colpa anche alla Chiesa cattolica,
e non le cause: l’infedeltà ebraica e l’implacabile odio sionista verso il
cattolicesimo. Non si vogliono dimenticare le colpe dei persecutori, ma si
vogliono dimenticare le colpe, remote e prossime, dei perseguitati. Credo che
sia opportuno fare un esempio che dimostri meglio la responsabilità degli
ebrei, autori e colpevoli del deicidio, e la responsabilità che ne hanno i
peccatori, soltanto causa della morte del Signore, non autori e, perciò, non direttamente colpevoli come gli ebrei.
Immaginiamo un padre con dei figliuoli, i quali, nonostante tutte le sue
premure, son divenuti viziati e scostumati tanto da dissipare il patrimonio
familiare e danneggiare anche terzi, fino ad essere arrestati e condannati alla
prigione. Il padre, che è molto buono ed ama ancora molto i figliuoli, al fine
di ricostituire il patrimonio in loro favore,
di risarcire i terzi da loro danneggiati e di evitare loro la prigione pagando una pesante cauzione, va a
compiere un lavoro ben rimunerato, ma estremamente faticoso. Per di più, viene
a trovarsi sotto un padrone spietato e a degli aguzzini, che lo trattano con
rigore e crudeltà. Terminato il lavoro, riparato ogni danno, arricchiti di
nuovo i figliuoli, ma gravato dagli stenti, dai maltrattamenti e dalle
percosse, quel padre muore. Chi è colpevole delle sue sofferenze e della sua
morte? Certamente, il padrone spietato e i sovrintendenti aguzzini, perché essi
ne sono gli autori. I figliuoli ne sono stati la causa, ma non gli autori e non
ne sono direttamente colpevoli, tanto più che quel padre buono si era
assoggettato spontaneamente a tale lavoro e non da loro costretto. Certamente i
figliuoli dovranno piangere per tutta la vita i loro peccati, con i quali hanno
causato le sofferenze e la morte del padre, senza, però, esserne stati gli
autori e, quindi, non direttamente colpevoli. Colpevoli sarebbero alcuni di
loro se, dopo aver provocato il dissesto economico in famiglia ed altri malanni
fuori, avessero anche costretto il padre al duro lavoro e lo avessero pure
percosso e maltrattato fino a farlo morire. Essi sì, che sarebbero veramente
colpevoli, perché autori, oltre che causa, delle sofferenze e della morte del
padre, non gli altri, i quali ne sono stati soltanto causa, ma non autori. Ecco
dunque: gli ebrei sono stati gli aguzzini di Gesù. Essi ed essi soltanto
sono i «perfidi omicidi», di cui è detto nella parabola raccontata dal Signore,
che proprio questo significato intendeva darle, come Egli stesso spiega alla
fine e come i capi della sinagoga avevano bene capito e già da quel momento lo
volevano uccidere. Mi è ora materialmente impossibile citare i numerosissimi
passi biblici che testimoniano in maniera evidente come i giudei e non altri
hanno voluto ed hanno attuato la morte del Signore. Ma sarebbe già più che
sufficiente la parabola dei vignaioli. Dico solo che negarlo,
significherebbe negare il Vangelo, che più chiaro di così non
potrebbe essere, e significherebbe negare anche alcuni passi degli Atti degli
Apostoli, delle Lettere di San Pietro e di San Paolo, altrettanto chiari e, con
essi, l'interpretazione data dai Padri della Chiesa e tutta la Santa Tradizione
fino al modernista Concilio Vaticano II.
E che
rifiutano la Redenzione
sono
colpevoli
della morte del Signore
Se
qualche filo-giudeo ammette la colpa degli ebrei del tempo di Gesù nel
deicidio, limita tuttavia la colpa a quelli, negando che ne abbiano colpa gli
ebrei dei secoli successivi fino ad oggi, per la semplice ragione, dicono, che
allora questi non c’erano. Invece, hanno colpa anche questi. è ovvio che non intendo giudicare e
condannare nessuno; Dio solo può farlo. Espongo semplicemente una regola di
morale e l'applico al caso degli ebrei. Ogni manuale di morale cattolica elenca
i peccati e la loro gravità, in base a cui ognuno deve esaminare la propria
coscienza ed attendere il giudizio di Dio, che vede l’interno di ciascuno, la
responsabilità, l’intenzione, la malizia o meno, le disposizioni interiori, le
condizioni esterne, le circostanze e solo Lui è capace di dare un giudizio preciso,
sicuro, infallibile e definitivo su ogni uomo. Il giudizio esterno, invece,
possiamo e dobbiamo darlo, essendo necessario alla stessa carità e
all’apostolato per correggere, per guidare, per illuminare e poi perché, se non
abbiamo diritto di giudicare le coscienze, non è detto che, per questo, le
regole non abbiano più valore. Diciamo, innanzitutto, che non è
indispensabile essere presenti al delitto commesso da altri per esserne
colpevoli. Si può essere colpevoli di un peccato
pur commesso da altri e, magari, anche molto lontani riguardo al tempo e al
luogo, qualora lo si approvi con tutto il cuore. La ragione di ciò è che il
peccato lo si commette prima dell’azione e indipendentemente dall’azione
stessa, con la volontà, la quale non è limitata nelle sue azioni come il corpo.
Il corpo è limitato nelle sue azioni e, talvolta, del tutto impedito dalle
condizioni esterne. Anche la volontà può essere limitata, o impedita nel suo
libero agire, ma solamente da condizioni interne, come dall’ignoranza invincibile,
da una distrazione involontaria, o da alcune malattie che, togliendo la piena
avvertenza, tolgono anche la volontarietà dell’atto, il libero consenso, la
responsabilità e, quindi, anche la colpa, se l’opera è per se cattiva, o il
merito, se l’opera è per se buona. Nondimeno, quando c’è la piena avvertenza e
il deliberato consenso, allora c’è colpa, per l’opera cattiva, anche quando
esternamente e materialmente non è possibile compiere quanto si vorrebbe. Quali
sono gli atti della volontà, ossia i suoi moti ? Essi sono: il
desiderio, la nostalgia, la compiacenza, l’approvazione e la ferma decisione di
attuare quanto deliberato. Il desiderio è la volontà di fare qualcosa in
futuro. La nostalgia è la volontà di rifare ciò che è passato. La compiacenza è
la soddisfazione di ciò che si è fatto, per cui lo si rifarebbe e anche questo
è un atto della volontà. L’approvazione è il consenso della volontà su ciò che
altri hanno fatto. Tutti questi atti interiori della volontà hanno tutti lo
stesso effetto morale ed equivalgono alla volontà di fare quel determinato
male. Esternamente, col corpo non lo si fa, perché non è possibile, ma
interiormente lo si fa, perché, ripeto, il peccato lo si commette prima ed
anche indipendentemente dall’azione. Lo dice il Signore stesso nel Vangelo
riguardo al desiderio: «Chiunque guarda una donna con desiderio (di
peccare con lei), ha già commesso adulterio in cuor suo». Lo stesso vale
per tutti gli altri moti della volontà. Tutti sottintendono questa intenzione: «Se
potessi fare questo male, lo farei». Dunque, in cuor suo lo fa. Commette
quel peccato. Ne ha colpa. Non importa che il fatto a cui si rivolge la
volontà sia vicino, o lontano, nel tempo o nello spazio, nel futuro o nel
passato. Per questo, chi non si pente dei propri peccati, non ne può essere
assolto. Perché? Perché il pentimento sincero fa recedere la volontà dal male,
mentre chi non è pentito, rimane con la volontà
ancora disposta e decisa di fare il male. E, se si approva il male fatto da
altri, pure lo si commette, perché si sottintende: «Se io fossi stato
al suo posto, lo avrei fatto e ancora lo farei». Dunque, lo fa, anche se si
tratta di un male fatto migliaia di anni prima, quando mancava un bel pezzo
alla propria nascita e venuta al mondo. è
vero che per commettere questi peccati, non basta un vago desiderio, o
compiacenza, o approvazione, o altro, ma bisogna desiderare quel male, o
compiacersene, o approvarlo con tutto il cuore. Negli ebrei d’ogni tempo
dopo la Redenzione, ci sono queste disposizioni? Ci sono eccome!!! Anche se
non ugualmente in tutti. Rifiutando ostinatamente la luce di Cristo e restando
tenacemente fedeli alla setta dei crocifissori del Divin Salvatore, dimostrano
più che a sufficienza di approvare il loro delitto e di volere essi stessi ciò
che quelli hanno voluto. La distanza di tempo e di luogo non muta la
volontarietà di chi, in un modo, o in un altro, partecipa al delitto, pur
consumato migliaia di anni fa, tanto più che l’uccisione del Messia Salvatore
non è un delitto qualunque e che gli ebrei conservano ancora gelosamente quei
Libri Sacri nei quali si parla di Lui. I musulmani e gli aderenti ad altre
credenze religiose, che rifiutano il Vangelo di salvezza, sono molto colpevoli,
ma in maniera molto minore. Se ci sono delle attenuanti, Dio solo le conosce. Tuttavia,
secondo le regole della morale, anche gli ebrei di oggi sono colpevoli della
Morte del Signore; anche gli ebrei di oggi sono crocifissori di Cristo; anche
gli ebrei di oggi sono deicidi. Tra cattolici bisogna dire apertamente queste
cose. Pubblicamente, la carità ci obbligherebbe a moderare il tono, pur senza
negare la verità. Non possiamo cambiare la realtà delle cose, ma poiché l’hanno
voluta cambiare, si è resa necessaria una rettifica e una chiarificazione.
Comprendiamo che lo sterminio degli ebrei operato dal nazismo ha commosso il
mondo e suscitato pietà; non si deve però giungere allo spasimo, al parossismo
e al delirio, come si è giunti oggi. Quello che gli ebrei hanno sofferto nel
passato, ancora recente, non cancella quello che essi hanno fatto soffrire nel
passato lontano. I delitti commessi contro di loro, per quanto tremendi, non
sono nemmeno confrontabili col delitto di deicidio da loro commesso. Le
persecuzioni che hanno subito non rendono innocente tutto il loro passato, con
le loro feroci persecuzioni contro i primi cristiani e tutte le mene e le trame
politiche, religiose, sociali e finanziarie, fino
all'epoca moderna, fino a spiegare, se non a giustificare la reazione nazista,
anche se se ne deve disapprovare e condannare la brutalità disumana. Noi
dobbiamo perdonare, dobbiamo avere sentimenti di amore anche verso di loro,
dobbiamo aiutarli nei pericoli e nelle necessità, come ha fatto Sua Santità Pio
XII di felice memoria, ma abbiamo pure il dovere di opporci e di alzare la
voce di fronte al demenziale filo-semitismo ecumenista, che è contro la verità,
contro la fede e contro la storia.
IL NUOVO CATECHISMO CONTRADDICE APERTAMENTE LA MORALE
CATTOLICA
Dopo l'esposizione
chiarificatrice dei principi della morale cattolica a riguardo della necessaria
distinzione tra «causa» ed «autore» di un peccato, riportiamo qui integralmente quanto affermato a
proposito del deicidio dal cosiddetto nuovo Catechismo della Chiesa
cattolica affinché appaia con assoluta chiarezza l'insanabile rottura in
atto da ormai trent'anni tra l'immutabile morale cattolica ed il frutto bacato
del delirante filosemitismo vaticanosecondista che vuole assolvere
incondizionatamente, anche contro la verità più evidente, gli ebrei dal tremendo
delitto di cui si sono macchiati.
TUTTI I PECCATORI FURONO GLI AUTORI (?!?) DELLA PASSIONE DI CRISTO
598
«La Chiesa, nel magistero della sua fede, e nella testimonianza dei suoi santi,
non ha mai dimenticato che «ogni singolo peccatore è realmente causa e
strumento delle [...] sofferenze» del divino Redentore. Tenendo
conto del fatto che i nostri peccati offendono Cristo stesso, la Chiesa non
esita ad imputare ai cristiani la responsabilità più grave nel supplizio di
Gesù, responsabilità che troppo spesso essi hanno fatto ricadere unicamente
sugli Ebrei».